“ Una violenza così, in vita mia, non l'ho mai vista”. Negli occhi di Antonio, ventiquattrenne napoletano, reduce dalla sanguinosa trasferta di domenica a Roma, si legge il terrore. Lui c'era, in mezzo a quei quattromila tifosi azzurri. Ma lui è un ragazzo come tanti, vive con i genitori nella zona flegrea, lavora in un ristorante e ha una passione smisurata per il Napoli da quando era bambino. «Dopo 14 anni di militanza in curva B, ho deciso di non seguire mai più il Napoli fuori casa. E al San Paolo non porterò mai la mia fidanzata, è troppo pericoloso». Dalle sue parole si riesce a percepire la rabbia, il sangue e l'escalation di brutalità inarrestabile che ha caratterizzato la domenica di Roma-Napoli. «Sono arrivato alle 10 a piazza Garibaldi — racconta il ragazzo — per prendere il treno delle 11, con il biglietto. A quel-l'ora ho iniziato a preoccuparmi. In stazione ho visto troppe mazze, martelletti, striscioni violenti e cori da battaglia. I turisti ci fotografavano, una ragazza olandese mi ha fatto intendere che non aveva mai visto un'adunanza del genere. Nell'Intercity mi sentivo come in un carro bestiame. Mi hanno spinto fino a farmi entrare nel bagno e ho trascorso lì dentro quattro ore, con una terribile. Il viaggio non finiva mai, avevo davvero paura. Non si parlava della partita, solo di come affrontare i tifosi avversari. Si aspettava solo un pretesto per iniziare a combattere». Il viaggio di Antonio sembra interminabile. A Roma si arriva alle 16.30. «Tutti urlavano, ritenendo voluto il ritardo, come se ci fosse stato un sabotaggio della trasferta. Non si faceva altro che insultare le forze dell'ordine e i romani. Alla stazione Termini ci hanno trattato come degli animali e lì mi sono vergognato ancora una volta: i turisti ci fotografavano come se fossimo degli extra terrestri. C'erano centinaia di agenti di polizia. Appena scesi dal treno, alcuni gruppi hanno lanciato petardi e fumogeni. Non aspettavano altro che scatenare un putiferio. Poi, quando la situazione si è un po' calmata, la polizia ci ha ammassato nei pullman verso lo stadio (cento in ogni bus)». Fuoro all'Olimpico ancora scontri. «Uno di noi si è ferito all'ingresso, perché c'erano solo due tornelli aperti per 4000 persone». Antonio dopo la fine della partita ha aspettato ben cinque ore sugli spalti prima di poter uscire. «Non ci hanno dato acqua, ero stremato, non avevo più la forza di parlare e intorno a me sentivo solo odio. A gara finita, per dissetarci, abbiamo invaso il campo e bevuto dai bocchettoni di emergenza dei pompieri». È riuscito a evitare il treno di ritorno, grazie a un amico è tornato a casa con l'auto a notte inoltrata. «I miei mi hanno riabbracciato che se fossi tornato salvo da una guerra». Come Antonio, ci sono altri tifosi non violenti che ora «si vergognano di essere napoletani». Le loro dichiarazioni invadono internet. Nel tentativo di dimostrare che esiste una parte non marcia delle curve A e B. «Quello non è calcio — dice "Giorgio G" — sono atti terroristici che non hanno niente a che vedere con lo sport. Io ho provato un senso di nausea — interviene "Formica Atomica" — sono bestie che di calcio non capiscono nulla. Servono iniziative serie e dure per bloccarli, oppure questo campionato sarà la tomba del calcio italiano». Per "Oric" «Quelli che hanno fatto casino alla stazione di Napoli e a Roma sono la fogna della città, che non si è riuscita a pulire. Ma per favore, la gente per bene non vuole essere confusa con questa melma». Condanne legittime, nei forum dei siti dei tifosi azzurri. Si usano soprannomi fantasiosi, per accusare gli atti di violenza inaudita. I nomi dei colpevoli, però, nessuno ha il coraggio di denunciarli. (Alessandra Barone da il Corriere del Mezzogiorno)
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