domenica 19 settembre 2010

Caldoro tra due fuochi

Regione Campania - Fresco di nomina (ma sono già passati cento giorni), Stefano Caldoro sembra stretto fra due fuochi. Giorni fa, Mimmo Paladino ha annunciato che coprirà con un drappo nero la sua nuova scultura al San Carlo, per protestare contro il presunto ridimensionamento delle politiche culturali della Regione. L’altroieri, Erminia Mazzoni ha spronato il governatore a fare di più, senza nascondersi dietro i problemi di bilancio. Si tratta di polemiche differenti, ma con una matrice comune: l’attuale balcanizzazione del sistema politico italiano. Che la casta emersa negli anni del bassolinismo reagisse male al cambio di guardia alla Regione, era prevedibile. Vedendo chiudersi spazi di attività e di potere, artisti, intellettuali, consulenti e poltronisti fanno resistenza, mobilitano la stampa, ricorrono al Tar. Umano, troppo umano. La cosa singolare è che, a causa della sua frammentazione ormai patologica, il Pd campano ha rinunciato ad aprire qualsivoglia dibattito sulla sconfitta elettorale e a mettere sotto accusa, insieme a politici e amministratori, tutta quell’area di società civile che, a conti fatti, si è dimostrata incapace di dare radici alla stagione del centrosinistra. Probabilmente, se ci fosse stato un simile dibattito, oggi avremmo meno bassoliniani pronti a incatenarsi ai cancelli di Palazzo Santa Lucia. Ma anche il fuoco amico dell’eurodeputata Mazzoni sembra prendere origine dalla balcanizzazione dei partiti. E’ in questa confusa congiuntura, la quale vede a Roma il duro confronto tra il partito del premier e i finiani e, nel resto del Paese, il moltiplicarsi di spinte centrifughe a carattere territoriale, che Caldoro è sembrato cercare un proprio spazio di autonomia politica rispetto alla coalizione, al Pdl campano e infine al governo. Quando il governatore esprime forti dubbi sugli effetti del federalismo nel Mezzogiorno o quando protesta perché non riesce ad avere un’interlocuzione con i ministri dell’esecutivo, il meno che si possa dire è che non ha paura di entrare in rotta di collisione con lo stesso premier. E’ per questi motivi che Erminia Mazzoni lo ha pubblicamente richiamato all’ordine. Giunto alla presidenza regionale per le vicende giudiziarie di Nicola Cosentino e senza avere un forte partito alle spalle, oggi Caldoro mette a profitto le proprie debolezze di partenza. L’improvvisa evanescenza del Pdl lo libera dalla tutela dello stesso Cosentino, permettendogli di guardare ad un arco di forze politiche, nel quale sono fondamentali i centristi di De Mita e potrebbero esserlo anche i finiani di Rivellini. E, insieme, lo induce a valorizzare i tecnici della sua giunta, i Trombetti e i Cosenza, essi pure estranei al partito del Cavaliere. Ma è immaginabile che a Roma non abbiano gradito la sponsorizzazione dell’ex rettore e dell’ex preside per le prossime comunali. Sia perché Berlusconi ha altri candidati in mente, sia perché la mossa di Caldoro è sembrata l’ennesimo segnale della propria ricerca di autonomia. Difficile dire se il governatore tornerà all’ovile o magari costruirà, alla maniera di Vendola, una coalizione nella coalizione. Una cosa però è certa. Le sorprendenti analogie tra lo sfaldamento del Pdl e del Pd indicano che si tratta di un fenomeno di sistema e che il Paese deve prepararsi ad un periodo nebbioso, politicamente acefalo, comunque difficile. (di Paolo Macry da il Corriere del Mezzogiorno)

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