Per il sindaco di Salerno, Vincenzo De Luca, la festa del Pd, quella nazionale torinese, è stata una sorta di «sagra». Ora, invitato a quella campana, non rifila lo stesso giudizio, ma per il partito ha parole, come sempre, non molto entusiastiche. «La nostra tragedia è il permanere di una clamorosa doppiezza — spiega a margine di un incontro sul Mezzogiorno —, che la gente coglie in maniera spietata, fra quello che diciamo di essere e quello che siamo in realtà. Nella realtà ci presentiamo come un aggregato di correnti e di sottocorrenti; dirigenti autorevoli continuano a fare iniziative di gruppo, di fondazione e solo alla fine – se e quando capita – di partito. Le identità prevalenti sono quelle correntizie e non quella unitaria e solidale di partito. Non si conta per la fatica che si fa o per quello che si conquista, ma solo per la capacità di riempire le caselle delle correnti e di trovarsi il “tutore”. Chi vuole vivere da uomo libero è costretto in una condizione davvero insopportabile». Ogni riferimento alla sua persona è puramente casuale. «Dunque— prosegue — i problemi che abbiamo davanti a noi sono pesanti e urgenti. I nodi vanno sciolti non con gli appelli, ma con decisioni limpide. Abbiamo ancora dirigenti che guardano e non vedono, sentono e non ascoltano. Abbiamo organismi dirigenti nei quali anche una vita democratica minima è sinceramente impossibile. In tutto questo il dramma è il permanere di un’area di militanti importante, appassionata, che vorrebbe trovare ragioni di entusiasmo e di slancio e si trova di fronte anime morte». (da il Corriere del Mezzogiorno)
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