sabato 4 giugno 2011

E ora tutti salgono sul carro del vincitore

Fonte: di Geo Nocchetti da il Corriere del Mezzogiorno

La capacità di andare in soccorso del vincitore era, per il grande Ennio Flaiano, il difetto più tipico degli italiani. A Napoli, come sempre, la norma diventa eccezione e da noi soccorrere chi ha vinto diventa lavoro, missione, amplesso socio-politico senza precauzione e pudicizia di nessun genere. E giusto ricordare che al ballottaggio ha votato la metà dei napoletani e di questa il 65 per cento circa ha scelto Luigi de Magistris. Quindi, come hanno fatto notare alcuni attenti osservatori anche sul nostro giornale, un napoletano su tre ha votato per il nuovo sindaco. Questi i numeri, incontrovertibili. Se vi capita di girare, in questi giorni, per uffici, redazioni giornalistiche, case private in occasione di compleanni o cene più o meno affollate, quei numeri non contano più. Tutti, ma proprio tutti, hanno votato per «Giggino». Si fa a gara a scovare lontane parentele e in mancanza frequentazioni anche per interposta persona del nuovo «Re Sole» napoletano. Va bene chiunque: la vecchia zia che gioca a conquin con una parente, un’affine, una collaterale del suddetto; un cugino che frequenta la stessa palestra dove l’ha incontrato una volta, ma come dice la pubblicità, una volta è per sempre e dunque giù a raccontare aneddoti sportivi sul neo-sindaco.



Vengono disseppelliti morti che non possono smentire né confermare, coniate biografie parallele acquistate al mercato del falso ideologico e morale; l’affiliazione col nuovo eletto, col prescelto, continua in un tripudio di volgarità, bugie, pacchianerie lessicali e comportamentali. Poi c’è sempre il più audace che chiosa «Giggino è n’amico, mo’ so’ crisciuto!». Inutile precisare che gli attori della prevedibile, ma sempre verde e squallida commedia, sono coloro che agli avversari di Giggino debbono le loro fortune di giornalisti, avvocati, imprenditori, parassiti del parastato e che, dieci secondi dopo la prima proiezione che dava vincente de Magistris, avevano svuotato le loro coscienze leggere e i tavoli del buffet del comitato del perdente per correre, leggiadri, a festeggiare il nuovo. Scene che, chi scrive, ha già vissuto, quasi identiche, all’indomani dell’elezione di «Antonio», nel 1993, che tra le sue accanite sostenitrici dell’ultima ora e poi beneficate della primissima ora, ebbe una delle amanti più voraci e appariscenti di un potente ministro napoletano della fu Prima Repubblica. È troppo presto per dire se anche de Magistris verrà inghiottito dal ventre molle della «Grande Puttana» che l’ipocrisia nostalgica vuole continuare a considerare una sirena di nome Partenope. Da queste parti, tuttavia, a partire da Annibale, per passare rapidamente a Masaniello, poi Murat e, si licet, Maradona, condottieri, geni ed eroi non hanno avuto luminosi destini. La ragione, semplice, quasi banale, è che dopo le estenuanti battaglie sono scesi dal «trono» e hanno lasciato che usi e costumi locali li contaminassero. Come, per tornare agli esempi, è accaduto a Maradona, pibe de oro la domenica, immenso, irraggiungibile, ma dissoluto il resto della settimana, prigioniero degli «amici» che se lo sono «cresciuto» talmente bene da farlo esplodere in pochi anni. I rischi per de Magistris sono altri, ma gli acerrimi «amici» sono gli stessi della sempiterna storia pezzente di questa città. Non gli sono amico e non me lo sono cresciuto, ma a Giggino vorrei dire che non ho apprezzato la frase «Mi sento il sindaco di tutti i napoletani». Mettere sullo stesso piano le parti offese (quelli che davvero l’hanno sostenuto dalla primissima ora e hanno ritrovato con lui un po’ del sopito entusiasmo, dopo averne subite di tutti i colori) e i rei (coloro che hanno stuprato la cosa pubblica in tutte le sue declinazioni, economiche, mediatiche, politiche riducendo le parti offese a parti inermi) non è un responsabile segno di pacificazione (magari frutto guasto del suggerimento di qualche superstite della politica politicante che non voleva de Magistris). Almeno non lo è in una città dove più del 30 per cento della popolazione è affiliata a organizzazioni camorristiche o vive grazie ad esse; nella quale, per dirla con Roberto Saviano, ha governato il trasversalismo affaristico-criminale che ha sperperato risorse pubbliche e avvilito i cittadini. I sostenitori e votanti del nuovo sindaco, quelli autentici, gli hanno dato fiducia perché perseguiti, metta in un angolo, renda innocui questi delinquenti nati a Napoli. Non certo per rappresentarli, sia pure formalmente.

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