di Filomena Baratto
Vico Equense - Quando qualche volta mi ritrovo a ridere per qualsiasi motivo, mi viene in mente la risata di mia madre. Lei sì che sapeva ridere! Ironica fino a diventare sarcastica, faceva delle risate di gusto per cui cominciavo a ridere anch'io senza motivo. Ridevo a vedere il suo sorriso fino alle lacrime. Per non perdere quel suo stato di grazia, mi inventavo qualcosa per farla continuare.
Nei pomeriggi di inverno, ma anche in estate, quando era d'obbligo il sonnellino pomeridiano, io la bloccavo sul lettino della mia camera e con mia sorella davamo vita a un teatrino di imitazioni di tutte le persone del palazzo. Indossavo lunghi strascichi, o cappelli o altro e davo vita ai personaggi. La inchiodavo per qualche ora lì fino a farla piangere dalle risate. A volte era lei a chiedermelo: "Fammi vedere come fa la signora ***" e io svelta parlavo come quella persona. Queste erano le uniche volte in cui si rilassava. Dopo rientrava nel suo ruolo materno di responsabilità e finiva anche la nostra complicità. Mi piaceva quel suo passare dalla severità alla dolcezza, dal riso alla serietà. Lei mi ha insegnato tutto, con gli esempi, le parole, i gesti. Ricordo le sue scenate di quando stiravo le camicie: così non andava bene, così non si fa, qui bisogna girare così e quando proprio non andava mi diceva: "Ma tu la stireresti una camicia così a tuo marito?" Oddio! Sono un'incapace, pensavo. Allora mettevo tutto il tempo per fare come diceva lei. A quel punto mi riprendeva sul consumo di corrente. Ora mi piace stirare, il ferro corre veloce sulle camicie e, a volte, me la sento accanto ancora a sorvegliare e puntualizzare!
Mica solo per lo stirare? E per stendere il bucato? Una storia impossibile. Prima i panni lunghi, poi i corti, poi i bianchi, poi i colorati, poi guardi giù a controllare che non vadano sul bucato della signora e poi quelli centrifugati e poi quelli che colano acqua, e poi e poi...Ora a colpo d'occhio, guardando un bucato steso, capisco molte cose di quella casa. E della cucina? Almeno in questo l'ho superata, ma quante cose mi ha insegnato! Una volta, ero in terza elementare, mi ha fatto salire sulla sedia accanto a lei, ai fornelli, solo per guardare come preparava la pasta e fagioli e sono stata lì senza annoiarmi fino alla fine. Poi è stata la volta di provare da sola a cucinare per tutti la mia pasta e fagioli. Che conquista! Il bello di mia madre era che mi responsabilizzava. Solo con la scuola lei non aveva mai da ridire. Mi chiudevo in una camera e là restavo e lei entrava solo per sapere come andava. Di mattina le portavo il canarino a letto: acqua, limone e zucchero tiepido, caffè e qualcosa di buono. Lo appoggiavo sul comodino tutte le mattine, compresa la domenica. Lo facevo per il suo fegato che aveva sempre bisogno di disintossicarsi e, quando beveva il mio canarino, diceva che cominciava bene la giornata. Quando mi abbracciava mi faceva male. Faceva penetrare le sue grosse dita nella carne e diceva che la mamma può farti tutto. Era possessiva, eravamo cose sue. Era sempre presente ed era così passionale che, appena si innervosiva, avvertiva i suoi morsi al fegato. Quel fegato che sin da piccola le aveva dato problemi e ad ogni arrabbiatura era costretta a stare a letto. Il mio canarino la rigenerava, le risate la tenevano su e i nostri progressi la inorgoglivano. Da adulta mi diceva sempre che quando vedeva le giovani madri lamentarsi, pensava a me che facevo di tutto di più, con la pazienza di una certosina. Oggi il canarino tocca a me. Ho cominciato a prendere l'abitudine anch'io dell'acqua, zucchero, poco, e limone, così senza alcun motivo. Ma credo che inconsciamente me lo abbia trasmesso lei. Quando di mattina preparo la tazza, la circondo con le mani, abbracciandola tutta e bevo guardando nel viale di casa mia. A quell'ora, soprattutto in questi giorni di primavera inoltrata, c'è un ciarlare di uccelli e fili volanti che scappano durante il trasporto del materiale per i loro nidi sugli alberi di fronte. In quei pochi istanti è come se avessi un colloquio con lei. Stranamente non mi riprende più, anzi, quando appoggio la tazza nel lavandino, è come se finisse il tempo a disposizione tra noi. L'orologio corre e devo andare a scuola. Il suo canarino è la nostra pausa. Quando glielo portavo, lei si sedeva nel letto con due cuscini dietro e le appoggiavo il vassoio sulle gambe. Il suo sorriso mi ripagava della sveglia di primo mattino. E se qualche volta non me lo preparo, è per non restare male del fatto che devo scappare a scuola, dedicandole pochi minuti. Lo riservo soprattutto ai giorni di festa, quando facciamo lunghi discorsi, o almeno sembrano, senza lasciarmi quel vuoto subito dopo. Se potessi ritornare indietro mi piacerebbe ascoltarla di più, nei discorsi, negli insegnamenti, mentre cantava, mentre rideva. Le mamme sono sempre trattate in modo evasivo, scontato, tanto son tutte uguali. Ora so quello che non ho fatto, che non ho ascoltato o avrebbe avuto piacere che io facessi. Ora darei ascolto anche a tutte quelle parole inutili e vuote, solo per sentirla. Una mamma ha piacere di essere ascoltata sempre, anche nello scherzo, mentre crediamo che da lei vengano solo raccomandazioni. Non è così. Una mamma vuole ascolto e presenza proprio come vogliono i figli. Anche i bisbigli sono importanti, i sottovoce, le lamentele, quelle che nessuno prende mai in considerazione. Ma ogni rapporto tra madre e figlio è speciale, unico. Una mamma sa essere a forma del figlio, è questa la bellezza! Domani comincio la mia settimana col canarino!
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