A tutti capita di adirarsi qualche volta ed entro certi limiti l’ira è un’emozione che scuote. Quando, però, si presenta con una reazione eccessiva e smodata, scade in un atteggiamento reprensibile e di grande maleducazione. Gli effetti nocivi dell’ira ledono chi la prova e quelli che gli sono accanto. I fatti scatenanti vanno da motivi futili ad altri più seri, in base alla sensibilità e alla capacità reattiva dell’interessato. Diventa una maschera con cui ci difendiamo dai soprusi, dalle delusioni, dalle invadenze altrui.
Chi è avvezzo ad arrabbiarsi crede che l’ira sia un aspetto coraggioso del carattere. L’adirato mostra un volto teso, privo di sorriso, la pelle rugosa, la bocca serrata, gli occhi sbarrati, sempre a caccia di fatti che avvalorino le sue ragioni. E’ poi convinto di essere attento alla vita, capace di gestire i problemi, di non lasciare nulla al caso e di sbrogliare le situazioni. Intanto chi gli vive accanto subisce uno stile di vita non suo, che vorrebbe ricusare ma è costretto a resistergli per non lasciarsi sopraffare. Ma da dove nasce questa collera inamovibile che col tempo si consolida sempre più? Oltre a una disposizione del carattere, è possibile che la persona spesso arrabbiata abbia subito un torto pesante e scarichi la sua implosione mostrando ora i denti. Per carattere è diffidente, talvolta malpensante che vive una vita lontana da quella che vorrebbe. Si pone in una perenne sospensione, in attesa di qualcosa che deve ancora arrivare. Le delusioni, i malumori, le cattiverie ricevute la fanno sostare in uno stato di disagio perenne. Soffre e fa soffrire. Come convivere con l’arrabbiato cronico?
Intanto è importante il dialogo, un modo per incontrarsi anche quando sembra impossibile. E poi dargli ascolto. Mai insistere o accentuare un diverbio, trascendere fino a sfociare in qualcosa di ingestibile. Fermarsi prima e non dopo. La rabbia, in un primo momento, porta a scuotersi, a muoversi. In letteratura un grande poema come l’Iliade nasce con l’ira di Achille: “Cantami o diva del pelide Achille l’ira funesta che infiniti lutti addusse agli Achei”. Sant’Agostino dice che ogni peccato è volontario, ma l’ira non è volontaria, in quanto l’irato agisce con tristezza che è un sentimento che accade contro la nostra volontà. E ancora afferma nella “Città di Dio”che “l’ira è un ribollire del sangue intorno al cuore. Per Ugo da San Vittore “l’ira arreca un danno maggiore dell’invidia, un sentimento che ci toglie il prossimo, mentre l’ira ci toglie noi stessi”. Nella sua Summa Theologiae San Tommaso afferma che essa sorge perchè qualcuno pensa a torto o a ragione che sia avvenuta un’ingiustizia, mentre se qualcuno pensa di aver subito un danno giustamente non si adira, semmai odia e si rattrista. Interagendo con l’irato pensiamo al motivo della sua tristezza più che alla sua maleducazione. Ciò che di positivo fornisce l’ira è che ci fa mettere a fuoco i fatti. Diventa deleteria se ci lascia in uno stato di scontentezza perenne per cui non apprezziamo più ciò che di buono facciamo. Può sfociare, poi, nell’arroganza come il personaggio di Filippo Adimari, detto Argenti, nel V cerchio dell’Inferno della Divina Commedia dove ci sono iracondi e accidiosi. I primi si azzuffano, si saltano addosso e si mordono. Lo stesso Argenti si morde le mani e cerca di rovesciare la barca, su cui viaggiano Dante e Virgilio, traghettata da Flegias nella palude Stigia. Dante, gli manifesta tutta la sua avversione per il fatto che, quando era in vita, Filippo Argenti lo aveva schiaffeggiato. Si dovrebbe aver la forza di tradurre la rabbia in parole per farla sfumare e non chiuderla dentro. D’altra parte essa non porta a niente di buono. Ogni azione necessita di lucidità e serenità altrimenti è destinata a fallire.
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