Vico Equense - Fanno paura quelli che non dicono nulla, non vedono nulla, non sanno nulla. Quelli che ancora pensano che sono ragazzate. Quelli che dicono che è folklore. Ritagli di giornale d’antan, busti, saluti romani, grembiule con la faccia del duce. “In giro troppa indifferenza sul fascismo”, dice Ciro Raia, presidente a Napoli dell'Anpi, l’associazione partigiani: “Vedo un perbenismo ideologico, per questo una certa destra va avanti”. Raia non nasconde lo sconforto e cita l’episodio del salumiere di Vico Equense che fa il panino Benito, sottolineando che bisogna “far capire bene cosa significa antifascismo e cosa significa fascismo. Nella società italiana e al Sud, dilaga "l'afascismo" di chi non sa neanche cosa sono fascismo e antifascismo.” La bottega gastronomica di Giovanni Castiello a Vico Equense è un tempio a Mussolini. “Sono fascista da quando avevo 14 anni, ero iscritto al Movimento Sociale”, spiega il titolare finito nell'occhio del ciclone. La differenza tra fascisti e antifascisti la spiegò bene Vittorio Foa, uno dei padri della Repubblica, partigiano di Giustizia e Libertà che aveva trascorso otto anni in prigione sotto il regime, la volta che incontrò il fascista Giorgio Pisanò, divenuto nel dopoguerra senatore del Msi. Il reduce di Salò propose all’intellettuale e politico antifascista una pacificazione fondata sull’equiparazione delle ragioni delle parti in lotta sul piano politico, civile e morale perché “in fondo eravamo tutti patrioti e ognuno di noi aveva la patria nel suo cuore”. Ma Foa lo interruppe e affermò: “Un momento. Se si parla di morti, va bene. I morti sono morti: rispettiamoli tutti. Ma se si parla di quando erano vivi, erano diversi. Se aveste vinto voi, io sarei ancora in prigione. Siccome abbiamo vinto noi, tu sei senatore e questa è una differenza capitale”.
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