mercoledì 23 agosto 2017

La ronda di notte

di Filomena Baratto

Vico Equense - Questa foto è diventata una triste verità di oggi. I ragazzi smanettano con i loro telefonini mentre alle loro spalle “La ronda si notte” di Rembrandt resta sola, come un quadro qualsiasi appeso a una parete di casa nostra. C’è una distrazione collettiva per un interesse diverso dalla bellezza. Eppure cosa c’è di più attraente su quei display sotto i loro occhi, cosa potranno dire le chat di più interessante per distogliere completamente lo sguardo da un’opera d’arte, tra l’altro costituita da una scena in cui un gruppo si muove in corale movimento come se i personaggi volessero scendere dalla tela per mescolarsi a loro? Quale altra bellezza potrà colpire se si è indifferenti a quella vera? Preferire la tecnologia alla pittura! La storia dell’arte non è ormai più materia di studio nelle scuole, ne sono rimaste solo tracce diluite in sporadiche ore settimanali, almeno in Italia, e quel poco che si studia è irrisorio e insignificante. Eppure attraverso lo studio delle tele si perviene alla storia, alla conoscenza di società lontane dalle nostre, a concetti filosofici, a miti e letteratura, come non può accadere nelle altre discipline. Ricordo che davanti a questa tela fui attirata all’interno del gruppo, come se ne avessi fatto parte anch’io. Da un dipinto del genere non te ne stacchi più. C’è sempre da osservare, ammirare, controllare. Il comandante sembra ti voglia parlare, il portabandiera sovrasta tutti, la persona che suona il tamburo ti sbircia e il gatto, il cane, come se si intrufolassero tra i tuoi piedi mentre i bambini danno quell’aria fresca e allegra. E’la celebrazione della bravura, di caldi colori, di luce, di un realismo che lascia esterrefatti. Io restai ferma nella stessa posizione per diverso tempo. Abbandonai la postazione solo al richiamo degli altri. Andai via con la consapevolezza di non aver visto abbastanza e in colpa per aver liquidato il capolavoro di Rembrandt in così poco tempo. Qui tutti i ragazzi, sono rapiti dall’interesse per lo smartphone e non per l’opera d’arte.
 
E’ anche vero che una tela del genere va studiata, capita, digerita prima di visitarla. Molto spesso si svolge esattamente il contrario. Si arriva al museo senza alcuna cognizione di quello che si va a vedere e tutto passa sotto i nostri occhi con grande normalità, mentre l’opera ci dà suggerimenti e rimandi. Rembrandt nacque a Leida in Olanda nel 1606. Iscrittosi all’Università, alla facoltà letteraria, la abbandonò ben presto per dedicarsi esclusivamente alla pittura. Venne a contatto con le lezioni del Caravaggio attraverso i suoi maestri e si pose alla ricerca del vero e dell’umano. Rembrandt impostava i suoi quadri come vere e proprie scene teatrali, i personaggi assumevano posizioni come se fossero sul palcoscenico. Questo è il suo capolavoro, risale al 1642 in occasione del decoro della Sala della Guardia di Palazzo del Municipio di Amsterdam. Esso rappresenta la compagnia del capitano Cocq, che si riconosce nell’uomo in primo piano, con la fascia rossa in atto di dare ordini al luogotenente, l’uomo in costume giallo, nella fase preparatoria alla marcia. Tra la folla si riconoscono personaggi reali di cui 18 noti, i quali avevano pagato ciascuno una quota per essere ritratti. Il titolo la “Ronda di notte” fu dato al dipinto alla fine del 700 per un equivoco, in quanto, il prevalere dei toni scuri dovuti alla patina accumulatasi con materiale polveroso, immergeva tutti i componenti nell’oscurità, dando l’idea della sorveglianza di notte in piena regola, là dove invece si trattava della fase preparatoria di una marcia. L’azione la si vuole vedere nella preparazione degli archibugi che si caricano e si scaricano, nella bandiera che sventola, nel rullo delle bacchette sul tamburo, atteggiamenti che danno l’impressione dell’azione in atto. D’altra parte la vigilanza notturna non fu mai di pertinenza della guardia civica. Il dipinto, benché fosse ritenuto già allora un capolavoro, fu mutilato di una parte per poterlo collocare nella sala Marziale nel 1715, perdendo 60 cm di tela in altezza e un metro in larghezza. La parte mancante è ben evidente nella mezza figura d’uomo che suona il tamburo e nello spazio antistante i due protagonisti al centro che, col taglio, si è accorciato di molto. Simbolica la presenza di due bambine a sinistra, che oltre ad avere un ruolo cromatico per la luce che irradiano, sono anche simbolo di vittoria. Il capolavoro del Rembrandt è un dipinto che mostra la sua straordinarietà nella tecnica, nella massa, nei colori, nella simbologia, impresa costata al pittore due anni di lavoro. Ci sono riferimenti a Caravaggio per il gioco dei chiaroscuri, con i personaggi che emergono dal buio, per l’espressione dei volti che sono sul punto di muoversi, in una complessa scena che deriva al pittore dalla sua grande passione e studio del teatro, un aspetto indispensabile per chi dipingeva nel 600. Davanti a una tela del genere i ragazzi dovrebbero sussultare come i movimenti della terra in preda al terremoto. E’ un quadro corale di alto grado sociale, dove la folla rappresenta la municipalità, l’organizzazione cittadina. I personaggi quasi avanzano nello spazio del museo mettendosi accanto ai visitatori e confondendosi tra loro. Rembrant preferì la pittura alla letteratura, decidendo così di dipingere a vita e fu un grande maestro che non aveva nulla da imparare dagli altri. I suoi dipinti hanno fatto scuola seguendo uno studio originale fatto da oggettivazione fiamminga e cultura italiana con vibrante carica espressiva, tutto merito di quella luce, studio particolare che aveva appreso indirettamente da Caravaggio. L’atmosfera dei suoi quadri va dal drammatico all’inquietante producendo una suggestione per i colori che acquisiscono una giusta dose di controluce. Studiare una tela come il capolavoro di Rembrant per i ragazzi è come apprendere lezioni che vanno oltre le semplici nozioni che si possono dare in aula. L’arte è espressione di un’epoca, di un periodo storico, di una società, di un paese e non può fare altro che insegnare attivamente e più di quello che ci si può prefiggere con la fredda lezione scolastica. Per un paese come L’Italia, artefice di quel Rinascimento che il mondo ci invidia, l’arte non può retrocedere davanti all’insegnamento di questa disciplina che necessita di un numero maggiore di ore a scuola, come una materia fondamentale e non di coda come l’abbiamo fatta diventare. Se i nostri ragazzi fossero adeguatamente informati e attivati allo studio dell’arte, forse, trovandosi in un museo, si mostrerebbero più interessati. Se la tecnologia ne prende il posto è per aver fatto capire ai ragazzi che la storia dell’arte è facilmente reperibile attraverso il web che ci fornisce un sapere enciclopedico. Basta digitare Rembrandt e sappiamo, ma solo delle nozioni e nemmeno potremmo sapere tutto se al Rembrandt non ci siamo mai accostati. Il sapere è approfondimento delle parti, di fasi, di dettagli. L’arte non esclude la tecnologia e dovrebbe essere così anche per la tecnologia nei confronti dell’arte. I computer pur facendoci sognare non potranno mai mettersi al lavoro per cose che vanno insegnate in modo “più alla maniera umana” che attraverso fredde macchine. Imparare significa interiorizzare, fare propria la materia col risultato di saper parlare di una tela senza averla davanti, conoscere la tecnica e l’autore senza il quale non si può definire quello che dipinge. Al di là delle ore di studio per la storia dell’arte, oggi questa scena di ragazzi distratti davanti a un capolavoro è la normalità. La tecnologia soppianta tutto il resto, ma non possiamo lasciarci fagocitare dalle macchine. Il nostro cervello si alimenta e matura con attività umane e l’arte è la disciplina più pura per adempiere a questo esercizio. Tocca a noi, a chi conosce l’importanza dello studio dell’arte, far capire ai ragazzi che sono davanti a qualcosa di eccezionale per cui vale la pena di lasciare i telefonini in borsa per ammirare. Ammirare è voler far proprio quello che vediamo, emulare, apprezzare, dare il giusto valore. E talvolta l’autorevolezza di quello che si dice è dovuta a quello che siamo, a come ci esprimiamo, a quello che sappiamo. Un ottimo relatore che sappia esprimere, in un discorso compiuto, quello che i ragazzi non sanno e non vedono, più instillare più curiosità e voglia di sapere del freddo web che ci fornisce dati. Molti dicono che quando si è veramente interessati si impara da soli, come se il sapere fosse appannaggio di pochi. E si commette l’errore di diseducare più che insegnare la voglia di imparare e conoscere l’arte. E solo se infondiamo voglia di sapere possiamo ottenere che i ragazzi si interessino alla bellezza di un dipinto e non smanettino davanti ad esso. Voglio credere, invece, che questi ragazzi stiano inviando a tutti la foto del dipinto del Rembrandt dopo aver fatto il pieno di immagini nei loro dispositivi. Solo così la foto assume un valore diverso e possiamo alla fine dire che “l’apparenza inganna”.

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