domenica 12 settembre 2010

Critica giusta, toni sbagliati

Non da oggi, il ministro Renato Brunetta ha una buona abitudine, una cattiva abitudine e una pessima abitudine. Ne ha dato prova, venerdì scorso, con la sua vivace esternazione su Napoli e il Sud. La prima, la buona abitudine, è di dire verità scomode. Che le regioni settentrionali del Paese siano tra le più produttive e ricche d’Europa e che, sul Pil italiano, pesi in negativo la condizione del Sud, è un fatto, per quanto urticante agli occhi dei meridionali. Altrettanto indubbio è che, specie nelle aree metropolitane del Sud e dunque a Napoli, esista un deficit di Stato e di legalità, un tessuto sociale meno articolato che nel centro-nord e un ceto politico di qualità non sempre adeguata, anzi talvolta di pessima qualità, come dimostrano (non foss’altro) gli innumerevoli casi di scioglimento di enti locali per infiltrazioni criminali. Ma neppure si può dar torto al ministro quando ricorda, per stigmatizzarla, quella crisi dei rifiuti che sembrò, due anni fa, il sinistro paradigma dei mali del Sud: amministratori impotenti, élite sociali mute, violenza diffusa, iniziativa camorrista. Dire le cose come stanno va sempre bene, anche se magari non porta voti. Non meno importante, però, è come si dicono le cose. E qui siamo alle cattive abitudini di Brunetta. Che una denuncia coraggiosa vada necessariamente confezionata in un involucro di violenza verbale e debba essere senza la minima sfumatura, è tutto da dimostrare. In fondo, è questo il modo degli stereotipi: confondere la parte e il tutto con la rinuncia a ogni distinzione analitica e slittare dal ragionamento alle emozioni con la scelta di una terminologia viscerale. Sarebbe bastato che Brunetta non avesse identificato un’area di tre milioni di abitanti con la malattia incurabile e non avesse parlato della morte di un’intera società, cultura, classe dirigente. Questioni stilistiche? Sarà pure, ma sembra quanto meno improvvido demonizzare la più popolosa area del Sud. Sbagliavano i «piemontesi» del 1861 quando paragonavano inorriditi i meridionali ai vaiolosi, sbaglia Brunetta quando parla di cancro. E l’errore è politico. A meno di essere rassegnati all’imminente disunità d’Italia, è ben chiaro che la riforma o— come giustamente dice il ministro— la rivoluzione federalista andrà costruita con qualche forma di consenso da parte del Sud. E, trattandosi di una ricetta amara, non sarà facile. Meglio dunque non appesantire i prevedibili sacrifici economici con il sovrappiù di giudizi che qualcuno taccerà di razzismo. Brunetta del resto non è il primo venuto, anzi ha responsabilità politiche dirette. E con questo siamo alla terza delle sue abitudini, la peggiore. L’intemerata di un paio di giorni fa può essere infatti depurata degli eccessi verbali e assunta dai meridionali con doverosa, sebbene amara autocritica. Ma è possibile che la predica venga dall’autorevole ministro di una coalizione politica che— da quasi vent’anni— promette efficienza pubblica, devoluzione delle competenze, riduzione della spesa, federalismo fiscale e poco, molto poco, ha fatto per materializzare le sue ambizioni? Se Napoli è un cancro, bisognerebbe capire quale malattia affligga una maggioranza che trova sempre qualche ragione (prima Bossi, poi Casini, ora Fini) per non governare. (di Paolo Macry da il Corriere del Mezzogiorno)

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