martedì 18 novembre 2014

Fuori o dentro al coro?

Considerazioni personali per una possibile “Scuola Buona” molto diversa da quella ipotizzata dal Presidente del Consiglio M. Renzi e dal Ministro dell'Istruzione on. S. Giannini

di Anna Guarracino, scuola primaria Vico Equense

Stimolata dalla attenta lettura della proposta di riforma dell'istruzione denominata “La buona scuola”, ho deciso di partecipare attivamente alla consultazione on line, indetta dal Miur. Non ritenendo appropriato ed esaustivo rispondere al questionario predisposto allo scopo, ho pensato di scrivere e inviare il mio modesto contributo, frutto della mia, ultratrentennale, esperienza lavorativa maturata nella scuola italiana. Sul testo ministeriale non voglio soffermarmi più di tanto perché, ad una lettura più attenta, il Piano si commenta da solo con le sue tante incoerenze, contraddizioni, paradossi, omissioni e mistificazioni. Di certo è il peggiore documento che io abbia letto nel lungo corso della mia esperienza di docente. Trattasi, in realtà non già di una vera proposta di riforma ma, piuttosto, di una forma subdola di ricatto, di false promesse, di inganni palesi o velati, di furberie e anche di cattiveria che evidenziano da una parte la poca conoscenza del sistema scolastico e dall’altra la sola volontà di effettuare tagli e di offendere una classe di lavoratori, già tanto bistrattata dalle politiche scolastiche degli ultimi venti anni, che con continue pseudo-riforme (da dimenticare) hanno sfibrato, logorato e ingessato la scuola italiana, fino a renderla inerme e costretta nel letto cartaceo delle inutili chiacchiere (mega-programmazioni) e delle false innovazioni, sotto le pesanti coperte di un “progettificio” senza senso.
 
Tanto premesso, credo sia più opportuno suggerire altre vie a questi nostri politici che, per questo Piano, chiedono, in contrasto con la linea governativa intrapresa, la consulenza della base non già, a mio parere, per confrontarsi democraticamente con il popolo della scuola ma solo per un comodo tornaconto valido a giustificare apparentemente il loro “malfatto” con falsi dati di supporto che attesteranno di sicuro una forte partecipazione della base a sostegno di queste loro idee, cosa che mai in realtà potrebbe accadere, a ragion di logica. Pur consapevole di questa mia spiacevole percezione, voglio comunque esprimere le mie personali considerazioni, sperando che possano servire a ridare energia nuova alla scuola spingendola finalmente a rialzarsi dal letto in cui giace, da troppi anni oramai. L’attenzione in primis va si rivolta ai docenti ma non nei termini ipotizzati nel fantomatico Piano della Buona Scuola. Bisogna innanzitutto: -Restituire alla categoria la dignità scippata loro in questo ultimo ventennio con retribuzioni economiche adeguate e/o almeno pari a quelle dei politici italiani. -Rendere obbligatorio l’aggiornamento, ma renderlo anche gratuito e affidarlo ad Enti di formazione, qualificati più che accreditati, in modo da evitare lo schifo degli abusi e dei soprusi, che nel passato, hanno costretto i docenti ad assorbirsi lezioni soporifere che li rendevano, all’uscita dai Corsi, più confusi di prima. Per lo più, questi Corsi erano affidati agli amici e agli amici degli amici, persone impreparate, boriose e/o presuntuose, che, non avendo niente altro da fare, si buttavano a capofitto nell’occasione procurata loro, chissà a quale prezzo, ripetendo le stesse litanie, anno dopo anno, fin quando agli sfortunati destinatari spuntava la barba e usciva la bava. L’aggiornamento invece va curato, preparato e incentivato! E male non sarebbe se si incoraggiassero di più anche i momenti di auto-aggiornamento regalando ai docenti libri o abbonamenti a riviste di ricerca socio-psico-pedagogica o anche corsi gratuiti presso le Università, ecc., ma è chiaro che per questo occorrono investimenti nell’istruzione e non tagli continui alla scuola e agli stipendi. Né si può ancora pretendere che il docente scardini ulteriormente dal suo magro guadagno anche le spese per il proprio aggiornamento come si è preteso finora e neanche basta donargli, come ciliegina sulla torta, il libero ingresso nei musei per renderlo “persona di cultura”. Altro punto da considerare è la valutazione dei docenti e della scuola, argomento scottante e complesso, mal affrontato nel Piano in discussione. Data per scontato, l’abolizione dell’Invalsi che rappresenta il peggiore e il più costoso sistema di valutazione della scuola, frutto di una mentalità distorta, di matrice più politica ed economica che socio-pedagogica, occorre: -Attivare un nuovo ordine di “Ispettori” formati e specializzati nel settore che valutino il valore della didattica e la capacità della scuola di promuovere formazione, e non altro, liberandola da ogni forma di auto-referenzialità, troppo spesso anche pubblicizzate impropriamente su giornali e sui siti, a mo’ di spot, proprio come si sta facendo con questo Piano della “Buona Scuola” per scoprire poi che “sotto al vestito non c’è niente”, trullallero, trullallà. A questo proposito, ben vengano gli standard di qualità di riferimento per i sistemi scolastici, ma come pensare di uniformare la valutazione degli studenti su dati oggettivi così malamente rilevati sul territorio e che dicono così poco di loro in quanto soggetti in crescita, con le loro specifiche peculiarità? -Attribuire ai presidi e ai docenti funzioni di valutazione reciproca in modo da evitare ciò che è ipotizzato nel Piano, ovvero più potere decisionale ai dirigenti che, dall’alto della loro supponenza, rischierebbero ancor di più di ripetere gli sbagli del passato allorquando, esentati da ogni forma di controllo, molti di loro hanno prevaricato sui docenti, invadendo e violando l’autonomia didattica: hanno mancato di rispetto agli operatori della scuola, offendendo la loro dignità, umana e professionale; hanno mortificato e/o disprezzato iniziative di buona didattica o proposte innovative, maltrattando gli autori invisi e non condivisi, con forme, sottili e neppure troppo, di mobbing, e in particolare, hanno reso la vita difficile ai docenti meno condiscendenti e più reticenti al loro indirizzo di lavoro, spesso basato su un uso improprio delle risorse della scuola, sia quelle umane sia quelle materiali. E chissà se non sarebbe il caso di affrontare una volta per tutte il problema a monte, ovvero all’atto dell’ assunzione del personale della scuola, a partire dai collaboratori scolastici e dai docenti per arrivare ai presidi! Una buona scuola non potrà essere retta da un cattivo dirigente. Al contrario una cattiva scuola può anche avere ottimi docenti. Queste riflessioni rimandano alla professionalità degli operatori della scuola che, come il noto “limoncè”, se c’è, c’è e se non c’è, non c’è: non la si può inventare la profes-sionalità! E di certo non basta aver superato un concorso per entrare in ruolo (senza considerare le modalità con cui si stanno svolgendo i corsi e i concorsi per la scuola in questi ultimi periodi). E allora ben vengano i tirocini formativi, presso le future istituzioni pubbliche in cui si intende lavorare per potenziare, con pratica diretta, le competenze professionali. A questo proposito non è male ricordare che come non esistono buone riforme a costo zero neppure possono funzionare semplici espedienti di magico effetto per cui, in nome di una discutibile logica manageriale, tratto il docente di turno come voglio, a mo’ d’oggetto a mia disposizione per cui: “lo prendo di qua e lo sposto di là” e così facendo lo metto dove voglio: mi servo della sua professionalità anzi, come è di moda oggi, delle sue competenze per cambiare l’esistente, come è stato ipotizzato per l’Organico funzionale, a dispetto della stessa continuità didattica. E’ inutile raggirare il problema: i precari vanno rispettati, inseriti con dignità, ben trattati e ben pagati, se si vuole esigere dalla scuola qualità e crescita culturale e poi l’aggiornamento mirato e la formazione in servizio faranno il resto. -Abolire i voti e/o i giudizi, in pagella a favore dei livelli di competenze e, nel contempo, promuovere, accanto al tradizionale percorso didattico in aula, situazioni di insegnamento/apprendimento in classi/laboratori aperti, di interesse e di vedute, ben strutturate (e qui casca ancora l’asino) e rese funzionali dalle giuste attrezzature per la pratica del saper fare, più rispondente ai bisogni formativi degli studenti in modo che ognuno possa compiere, accanto al percorso obbligatorio, più strumentale e teorico, un corso più flessibile e creativo di apprendimento nel rispetto dei propri interessi, dei propri tempi e dei propri stili cognitivi, in ottemperanza alle stesse istanze di recupero e di eccellenza, senza più il ricorso ai ridicoli corsi di recupero e di rinforzo, di potenziamento o peggio di ampliamento dell’offerta formativa che spesso ridicolizzano l’azione stessa della scuola soprattutto allorquando si fa ricorso all’intervento di operatori esterni, finanche laureati, non privi di fantasia ma a corto di preparazione socio-psico-pedagogica, che tutto fanno tranne che promuovere vera formazione. Altro che risorse private!!!! La scuola va fatta solo da chi la sa fare veramente. E così dovrebbe essere anche per la politica. Non meno importante è il discorso dell’offerta formativa che va, a mio parere, necessariamente ridotta all’essenzialità di una preparazione prettamente didattica, indirizzata verso “un nuovo umanesimo”. Rivedere i curricoli ed essenzializzarli significa anche liberare la scuola dal falso mito della panacea che la vorrebbe capace di contenere tutti i mali della società odierna nonché in grado di fronteggiare tutte le problematiche esistenti e di rispondere a tutti i bisogni formativi che emergono. Come può pensare un Miur che, mandando nelle scuole di ogni ordine e grado circolari a migliaia dove si invita a sensibilizzare gli studenti sulle migliaia di problematiche tirate in ballo, in occasione dei mesti “giorni della memoria o della ricorrenza, si possa davvero fare ciò che continuamente è richiesto? E’ impossibile, anche perché oramai non c’è più un giorno in cui non ci sia un qualcosa da ricordare o da commemorare. E’ forse pensabile che, a colpi di circolare e di sensibilizzazioni promosse in brevi momenti di raccoglimento o di approfondimento, si possano risolvere i fenomeni della delinquenza e della criminalità, del bullismo e del disagio sociale, della dispersione e dell’abbandono scolastico, dell’inquinamento e dei maltrattamenti, della violenza e degli abusi sessuali, ecc.? O forse queste “missive” servono a compensare omissioni di interventi d’altro tipo che non possono certamente essere colmate a mezzo di concorsi a premi, di minuti di silenzio e di giornate del ricordo, sempre promossi dalla scuola? Pur considerando la crisi socio-economica e culturale, imperante e non negando le difficoltà delle altre istituzioni pubbliche e sociali, come i Comuni, le famiglia, le chiese, ecc, occorre: -Creare sul territori una catena sinergica tra gli Enti esistenti per restituire ad ognuno un ruolo ben definito, ben marcato e non invasivo e ridondante che si traduce infine in inutili cloni degli stessi Enti che promuovono gli stessi interventi che, a lungo termine, risultano noiosi e dispersivi nonché costosi, correggendo ovviamente le distorsioni delle reti associate delle scuole, spesso associate sole per “ricevere” con più probabilità denaro pubblico ricorrendo alle fantasiose motivazioni di accattivanti, ma ingannevoli, Progetti, favoriti dalla politica Europea che con la sua logica di smistamento delle risorse economiche sta condizionando. o meglio asservendo. questi stessi sistemi scolastici alle logiche dei lobbisti delle multinazionali dominanti, come ben si evince dall’espansione/invasione della tecnologia multimediali e digitale che di certo non basta a risolvere tutti i problemi della scuola italiana. Magari bastassero solo le LIM! Meglio sarebbe rivedere il sistema europeo di finanziamento delle scuole e anziché pensare di prosciugare i fondi di Istituto, bisognerebbe incrementarli per permettere alle scuole di fronteggiare esigenze locali e bisogni formativi, veri e non fittizi. -Abolire l’attività progettuale della scuola che impegna malamente il tempo dei docenti trasformati impropriamente in “esperti di ingegneria della Pedagogia” e ultimamente anche di sociometria e di monitoraggi, a favore di semplici programmazioni, aperte e flessibili, anche se pur sempre rispondenti alle richieste di un ben delineato curricolo nazionale, che permettano al docente di qualificarsi sempre più solo come vero insegnante, esperto di didattica e di formazione. E se occorrono altre figure specializzate nella scuola, si provveda pure ad inserirle e ad integrarle, ma solo come “nuove forze di sistema”. Costerà di più, ma chi ha mai avuto un prodotto migliore pagandolo di meno? -Ridurre notevolmente il tempo previsto per gli incontri collegiali a favore dell’organizzazione pratica di valide situazioni di insegnamento/apprendimento a carattere ipertestuale, aperte alla flessibilità, all’ampliamento e capaci di trasferibilità per un confronto costruttivo tra docenti della stessa scuola o tra docenti di scuole diverse ma dello stesso ordine. In sintesi, sarebbe come dire: meno chiacchiere ma più operatività, con e per gli alunni, senza dimenticare l’onere delle correzioni dei compiti, che rimane un’arte imprescindibile del buon maestro. E poi si che andrebbero conteggiate le ore in eccesso! Sicuramente andrebbero oltre le 36 ore ipotizzate, sarcasticamente dal solito politico incompetente e fuori dal campo scuola. Provasse almeno lui a digitare, su supporti multimediali, una buona lezione ipertestuale ad alta interattività, con verifiche incluse, per misurare il tempo impiegato! In una scuola di qualità così impostata e con professionalità riconosciute, anche sul piano economico, non avrebbe neppure senso parlare di inclusione, cavallo di battaglia, negli ultimi anni, della campagna politica del governo. In una buona scuola pubblica l’insegnamento è diretto a tutti ed è per tutti e il bravo docente è attento ai bisogni formativi di tutti,BES, DSA, disabili compresi. Questo principio è incontrovertibile, ma può un solo docente operare così attentamente nelle classi-pollaio in cui si trova ad operare nella odierna scuola? E’ qui c’è anche da chiedersi perché, a fronte di tanta attenzione per i soggetti disturbati nell’apprendimento, non si registra una adeguata risposta ministeriale per quelli diversamente abili? Nel Piano difatti si accenna alla riduzione del sostegno e, addirittura, sembra che si voglia abolire. Si intende forse risolvere il problema dei disabili inserendoli serenamente nelle classi-pollai dove per l’affollamento nessuno si accorgerebbe di loro e del loro stato e per questo essi, confusi tra altri disagiati, dimenticherebbero di essere essi stessi diversamente abili? Fiumi di parole, si cantava un tempo, ma i fiumi che escono da questo Piano ministeriale sono più simili a torrenti di fango destinati a riversarsi presto nel mare dell’insuccesso. Urge, ora più che mai, un nuovo umanesimo che rimetta al centro della scuola lo studente e non la politica economica. Dunque, in sintesi, a mio parere, la buona scuola è solo quella che, lontana dall’ottica aziendale, tanta amata da questi ultimi governi, punta alla promozione dello studente considerato non già un prodotto da foggiare, ma una persona da formare. Pertanto, l’invito è che la scuola torni al più presto al suo vero ruolo ossia a quello di promuovere la formazione integrale del cittadino, meglio italiano convinto che europeo indotto. Se così fosse già stato, ora non avremmo avuto questo piano della “Buona Scuola” ma avremmo già avuto una “Scuola buona”. Pericle diceva- “Il segreto della felicità è la libertà. Il segreto della libertà è il coraggio. Ed è quello che adesso occorre in Italia: il coraggio di proseguire in contro tendenza, controcorrente, contro senso, staccandosi dalle “politiche di asservimento” per riprendersi la libertà di essere felice. Solo questo coraggio caratterizzerà il politico riformatore e il docente innovatore.

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