domenica 13 settembre 2020

La parola d’ordine

di Filomena Baratto 

La nostra vita scorre tra le password, le parole d’ordine. Quando abbiamo cominciato a usarle, eravamo certi di avere i nostri dati al sicuro. Che invenzione! La privacy salvaguardata da una combinazione di parole, segni e numeri. La password è indispensabile per entrare in ogni programma e accesso in rete. Le cambiamo a ritmo continuo, perché si perdono, si dimenticano, ce ne richiedono di nuove. All’inizio è stato fantastico, pensavo, chi andrà mai all’idea di quello che scrivo? Quante situazioni, numeri, fatti passati in rassegna per formulare la nostra password. Le ho setacciate tutte. Ho cominciato con la letteratura: A rebours, Carlino Altoviti, Confessioni di un italiano di Ippolito Nievo, Mr. Fogg, La signora Ramsay, La certosa di Parma, Con gli occhi chiusi, FederigoTozzi… E’ stata la volta dei nomi: Donna Prassede, Il conte Ugolino, Pico della Mirandola, La Pisana, Serafino Gubbio, Holden Caufield, Edmond Dantes… Nemmeno questi son bastati, sono passata alle battaglie: di Lepanto 1571, di Hastings 1066, Maratona 490, così mescolando nomi e numeri è più difficile scoprirla. Quanti nomi son passati sotto la mia penna: da Filippo il Bello a Napoleone, da Carlo V a Cleopatra e Churchill, da Ulisse ad Artemisia, Costanza d’Altavilla, Zeno Cosini, Marianna Ucrìa. La cerchia si stringeva sempre più, adesso inserivo anche il numero, il segno, la lettera maiuscola o minuscola, lo /, il punto, lo spazio… facile crearla difficile, e poi? Come la ricordi? La scrivi da qualche parte. Bene, ci vuole un’agenda che le contenga tutte e, quando l’hai creata, addio privacy: chiunque potrà leggere. Un vero problema.

 

Più il tempo passa, più servono password. Molte ricordano momenti della nostra vita, fatti, persone che forse non vorresti nemmeno aver incontrato, ma stanno lì, nel libro nero delle parole d’ordine. E se scorri tutto quello che hai scritto, i nomi, i numeri, i fatti, i segni, le maiuscole e le minuscole, uscirà fuori il tuo romanzo, che credi nessuno conosca e invece il primo a saperlo è il signor Google, che ogni volta che digitavi, seguiva il tuo percorso, conosceva un po’ di te. Per non parlare di quando la scrivi per sbaglio dove non devi e tu la vedi per la prima volta scritta e ti dici: ma cosa ho fatto? Qualcuno potrà vederla! E la cancelli riscrivendola al posto giusto. Abbiamo regalato alla rete pezzi della nostra vita, abbiamo fornito notizie che potevamo tenere per noi. E intanto quella centrifuga del web, che macina tutto e sembra non ricordare, non conoscere, memorizza tutto senza il nostro permesso e ogni nostra notizia è un’indicazione preziosa che involontariamente gli forniamo. Maggiore è il nostro uso dello strumento, maggiore la conoscenza che i motori di ricerca hanno di noi. E continuiamo a credere che tutto quello che passa attraverso il web resti anonimo. Niente resta a noi se non un piccolo antro del nostro cervello in cui chiudiamo 4 cose, forse nemmeno le più importanti e che crediamo di conoscere solo noi. Ma il meglio lo abbiamo già dispensato, già fatto archiviare, già è entrato in funzione attraverso meccanismi sofisticati che rilevano i nostri desideri, idee, pensieri, carattere, sesso, gusti... E allora a che serve la password? A evitare che le persone vicine leggano? Serve a fornire di noi la migliore proiezione, quella che nemmeno i nostri parenti e amici possono conoscere. I codici che forniamo alla rete ci proiettano agli altri che sapranno cosa farci vedere individualmente, come forgiare il nostro pensiero, come prenderci, cosa presentarci. La password è un modo di scrivere la nostra storia in codice, più vera di quella che daremmo con una nostra biografia. La formiamo in base a quello che viviamo al momento: un evento importante, un fiore, un titolo, un numero. Un codice, tutto sommato siamo un codice col quale ci definiamo nel mondo. Bastano poche cose per distinguerci. Se scrivo nomi di letteratura, battaglie, date, storia, si saprà che mi piace la letteratura, l’arte, la pittura, la storia, la geografia, si comprendono meglio le mie scelte, i miei desideri. Ma da quello che non scriviamo si comprendono tante altre cose. Gli algoritmi questo lo segnano. Mettono a punto ciò di cui non parliamo. E forse il nostro profilo più vero nasce da ciò che non diciamo. Una parte di noi resta registrata, la parte in ombra fornirà elementi inaspettati e significativi che potrebbero dare la nostra vera immagine. Ecco allora il motivo delle password. In quei piccoli segni si captano notizie di noi, una tracciabilità che non avremmo in alcun altro modo. Cosa resta per noi, di veramente privato? Il mondo vive di socialità e la privacy non si addice ai ritmi veloci della vita odierna. Più si parla di qualcosa più se ne conosce poco, mentre il non detto resta un valore certo. La vera privacy è quando le cose giacciono in noi, poiché essere in due a conoscere un fatto è già come in tanti a saperlo.

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