domenica 18 giugno 2017

Marco e Gloria

Gloria e Marco
di Filomena Baratto 

Vico Equense - Alla fine non ce l’hanno fatta. Erano partiti per andare a cercare fortuna e invece hanno trovato la morte. Marco e Gloria, i due ragazzi morti nell’inferno della Grenfell Tower, sono due dei tanti figli che lasciano l’Italia per andare fuori in cerca di una vita migliore. Fuori dall’Italia funziona che si procede per merito e non per trafile ambigue e tortuose e strategie varie per ottenere quello che spetterebbe di diritto. I figli ci lasciano, vanno via, si organizzano una vita lontano da noi e molto spesso non per scelta, ma costretti. Mi chiedo, a cosa provvede lo Stato se assiste inerte alla fuga di tanti giovani? Ai nostri figli abbiamo dato il meglio per poi vederli scappare come se qui ci fosse l’inferno. E una volta fuori, non ne vogliono sapere di tornare. Così, dopo aver dato loro educazione, affetto, beni, ci vengono sottratti per servire un altro paese. Questo è una perdita inaccettabile oltre che una sofferenza. Forse che non conviene puntare sui giovani, mantenerli in patria, dandogli un futuro all’altezza delle loro aspettative? E mentre facciamo scappare i nostri ci fregiamo di essere i “Buoni Samaritani” per gli immigrati. Ci adoperiamo per lo “ius soli”, ma non ci preoccupiamo dei figli che vanno a risiedere altrove non sempre per scelta ma per mancanza di simile trattamento qui, e ai quali dovremmo dare progetti per il loro futuro e lo stesso diritto offerto agli altri. Vogliamo far credere poi che la scuola italiana sia inadeguata e invece è vero il contrario se i nostri figli diventano casi di eccellenza fuori. Tra qualche anno, questo sarà un paese senza ricambio, senza giovani ai quali abbiamo dato tutto per migliorare il loro futuro e il paese.
 
E c’è chi lo vede come un onore, come una moda quello di mandarli a studiare fuori e restare lì dopo anche per il lavoro. E così, se un giorno ci chiamano per dirci che Marco e Gloria non ce l’hanno fatta a sopravvivere alle fiamme, noi, siamo pronti a dire che se la sono andata a cercare, che potevano stare nel loro Veneto, che volevano strafare, che non dovevano stare in quel grattacielo e giù di lì così. I genitori di quei ragazzi chiedono la stessa cosa: “Perché l’Italia lascia scappare i giovani?” Paese industrializzato? L’unico paese europeo che esporta uomini più delle merci. Figli sparsi in Germania, Svizzera, Inghilterra, Francia e Spagna. Un paese strano e contraddittorio, dove tutti gli stranieri hanno un lavoro, sono pagati, trovano asilo, aiuto, rifugio, collaborazione, solidarietà mentre i nostri, dopo la laurea comincia la corsa all’estero. Qui, se vuoi un lavoro devi pagare e se ti spetta, ti mantengono in stand by un po’, la tattica per mantenere posti in relazione con la politica. Ultimamente è diventato atteggiamento anche dei Sindacati, che invece di fornirti notizie e spiegazioni fanno finta di non sapere nulla o tergiversano, mentre tu paghi continuamente la rata mensile per mantenerli. E così, da noi si finisce per accettare un lavoro qualsiasi pur di mantenersi. E poi i nostri fanno ridere quando chiedono l’esperienza quando sei appena uscito dall’università e, se sgobbavi sui libri, non potevi certo lavorare. Fuori dall’Italia non è così! Fuori ti seguono, ti accolgono come i loro studenti, non c’è discriminazione, ti mettono in condizione di finire gli studi, di prendere un lavoro, di migliorarti, di progettare la tua vita, di valorizzarti, cosa che qui non esiste assolutamente, anzi se vali, faranno in modo di farti soccombere. Fuori hanno cura dell’essere umano oltre a dare opportunità di lavoro. Qui c’è sempre qualcuno più uguale a se stesso che agli altri, che ti scavalca, che è agevolato, che non attende ed entra con altre modalità. Ci ostiniamo a far finta di niente imparando ad assuefarci a tutto. Questo è un cattivo costume che i nostri figli conoscono e che, se non vanno via per la mancanza di lavoro, lo fanno per per lo stile di vita caotico e indisciplinato e costumi poco chiari. Non siamo stati capaci di ordinare uno stato migliore e ciò pregiudica la nostra bravura di genitori, visto che i nostri figli continueranno a scegliere il meglio una volta che glielo abbiamo fatto conoscere e continueranno ad andare fuori visto che qui il confronto con l’estero non regge. Abbiamo avuto l’effetto boomerang. E la bella educazione ricevuta, la bravura di cui sono capaci, l’essere brillanti non serve a niente se poi non stanno più con noi. E non ci illudiamo di essere stati bravi a coltivare le loro aspirazioni per mandarli in paesi ricchi. Tutta questa ricchezza non vale la loro lontananza e la colpa è nostra. Per non aver offerto loro il meglio anche della politica, quella capace di offrire le stesse possibilità che trovano fuori. E’ colpa nostra se lasciamo al potere sempre i soliti noti e incapaci, se crediamo che mettere mano alla politica sia cosa sporca. In casa nostra la politica si riduce a maturare vitalizi e usufruire di privilegi più che governare. E se i figli oggi hanno una vita migliore della nostra come aspettative e benessere, non ce l’hanno migliore per solitudine e per essere strappati al loro luogo natìo. Pensavo al vecchio Lot de “Il carro di fieno”, un dipinto di John Constable, alla sua lunga vita passata nella sua casa sul fiume, da cui non si era mai allontanato, nemmeno per una volta. Una vita nel proprio luogo di nascita è di gran lunga migliore di quella che si può incontrare in un paese ospite, per quanto benessere ci possa essere. Marco e Gloria cercavano lì quello che non hanno trovato qui. Ma non sono i soli. Tanti, troppi figli sono fuori. E al loro alto tenore di vita e al prestigio che acquistano, forse si preferiva una vita migliore qui, ricca di affetti, di quotidianità, di famiglia. Lontano da casa non hanno quel calore affettivo e sicurezza che nasce quando si è avvolti dalla propria famiglia. Manca il contatto, il confronto, la comprensione, la partecipazione e quella presenza che fa bene a loro e più ancora a noi. Ma davvero il benessere rende anche autonomi nell’affetto? Davvero non fa mancare l’aria di casa, del proprio paese, della vita del luogo natio? Davvero le radici non contano nella formazione e nella vita di una persona? E non conta nel benessere dell’azienda per la quale lavorano? Io lo inserirei nel PIL del paese, senza il quale si perde anche l’identità. E non è vero che sono discorsi di chi resta, lo sono anche di chi parte. Col tempo si renderanno conto di quanto hanno perso, quando, passata la forza della gioventù, sentiranno i morsi della stanchezza e dei ritmi serrati. Il meglio è restare, è costruire qui, dove si è nati e dove si ha bisogno di quel respiro tutti i giorni se la politica bieca e ottusa avesse pensato anche a loro, i figli. E’ un fallimento totale che nel tempo darà i suoi contraccolpi. Sarebbe stato meglio non abituarli al meglio! E chissà che non siamo stati prima noi genitori ad essere insoddisfatti e inculcare loro che il meglio non è qui. Ma di sicuro non si può stare a guardare come lentamente scappano via pur amando la loro terra.

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