mercoledì 19 marzo 2008

Pd, partite secondarie e regolamenti di conto

(Marco Demarco) - Nel partito democratico campano è in corso uno strano dibattito. Sul «Riformista» di ieri, Leonardo Impegno lo ha impostato nei seguenti termini: dobbiamo chiederci, ha scritto, «come possiamo far vincere il Pd senza essere imbrigliati nelle polemiche locali». Un osservatore distratto non noterebbe la sottigliezza del dilemma. Ma tradotto dal politichese, il quesito acquista di colpo tutta la sua forza polemica. Impegno sta infatti dicendo ciò che centinaia, forse migliaia di «democratici », da tempo riportano nei propri blog. E cioè: il problema non è come vincere le elezioni evitando il localismo, ma come uscire dal voto senza rafforzare Bassolino. Sia chiaro, in tutte le competizioni elettorali si giocano più partite. La prima è certamente quella tra le forze politiche concorrenti, ma al di là di questa, se ne giocano molte altre. Esclusa, per effetto della legge elettorale, la partita tra candidati di una stessa lista, restano quella tra alleati o apparentati e quella nei partiti, tra correnti e lobbies. Tutto ciò è fisiologico e anche democraticamente auspicabile, perché espressione di pluralismo politico e garanzia di una polifonia forse fastidiosa, ma necessaria. Nel Pd campano, tuttavia, le partite secondarie stanno prevalendo sulla sfida principale. Abbiamo, infatti, la partita dei casertani, esclusi dalle liste, contro Napoli e Roma; quella di Bassolino contro Veltroni, colpevole di aver sacrificato De Mita e molti parlamentari vicini al governatore; quella di Veltroni contro Bassolino, insensibile alle richieste di dimissioni e dunque responsabile di un possibile effetto- rifiuti sul voto; quella di bassoliniani e dalemiani contro il ministro Nicolais, già autocandidatosi alla direzione della Regione a spese del bassoliniano Cascetta e del dalemiano De Luca. Infine, c'è la partita tra i candidati della società civile e i politici di professione, ma questa è un'altra storia. Secondo molti, il modo migliore per punire Bassolino consisterebbe nel-l'astenersi al Senato, dove sono candidate la moglie Annamaria Carloni e le fedelissime Incostante e Armato, e di votare invece alla Camera, dove nella circoscrizione Napoli-Caserta non compaiono bassoliniani. Secondo altri, il messaggio sarebbe più chiaro se la flessione si registrasse alla Camera, perché è qui che risulterebbe senza equivoci la responsabilità di chi ha malgestito l'emergenza rifiuti. Nell'un caso e nell'altro, Bassolino avrebbe però già pronti i suoi alibi: se dovesse perdere al Senato, potrebbe dire che lì, più che altrove, si è pagato la rottura con De Mita; se dovesse perdere alla Camera, invece, ciò sarebbe dovuto proprio all'esclusione di candidati espressione del potere locale. Morale: troppe voci, nessuna melodia, pubblico distratto e noia assicurata. Del resto, chi sopporterebbe, ininterrottamente, la musica di Schoenberg fino al 13 aprile? La Campania è l'unica regione d'Italia dove nessuno dei tre capilista del Pd è espressione del ceto dirigente locale. Ed è quella dove altissima è la percentuale di candidati catapultati dall'esterno. Tutti segni di una evidente patologia ambientale.

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