Due mesi fa sono fuggiti tra le fiamme. Ora, sono tornati. Silenziosi, come ombre. Guardinghi, ma con orgoglio. Hanno rimesso piede nel quartiere. Loro, nomadi da generazioni, rivendicano un pezzo di terra, una casa, a Ponticelli. A due mesi dai roghi e dagli assalti ai sette campi rom del quartiere alla periferia Est, nella notte tra venerdì e sabato, un gruppo di 30 persone ha riaperto uno dei campi in via Argine. Ci sono solo due uomini: il capo famiglia Ivon, 50 anni e suo figlio Dragan, 28 anni. E poi tutte donne, bambini dai sei mesi agli otto anni e qualche ragazzino. Sono tornati nel loro vecchio campo, tra via Argine e via Nifo, a ridosso della fermata della Circumvesuviana, dopo un mese e mezzo di pellegrinaggio per Napoli. «Siamo tornati, perché qui abbiamo un lavoro, le nostre baracche, le nostre cose. Siamo tornati perché non siamo animali in fuga e neanche gli italiani sono animali. Siamo uomini e dobbiamo convivere, pacificamente» dice Dragan. Però la paura dei campi in fiamme e degli assalti è ancora viva. «Credevo di morire bruciato - ricorda Gabriele 13 anni - Per giorni non abbiamo mangiato: siamo scappati senza avere una meta precisa». «La prima notte abbiamo dormito alla stazione Garibaldi, poi sempre per strada, sempre in fuga da tutto. Mi sentivo spiata» dice Medda, 17 anni, incinta al sesto mese, mentre mostra i suoi ventagli. «Li faccio con carta e legno riciclati - spiega - e li vendo per strada a un euro. Io non rubo bambini e non rubo nelle case». E Dragan: «Abbiamo due carretti, ricicliamo il ferro. Tutto in regola. E la sera suoniamo per le strade». Larissa Tabita ha 7 anni: «Io voglio andare a scuola l´anno prossimo» racconta convinta. Il loro vecchio campo ha tutto il lato sinistro devastato dal fuoco. Solo a destra sono rimaste sei baracche. «Le stiamo ripulendo alla meglio - osserva Lina, la madre di Medda - perché hanno rovistato dappertutto, ci hanno rubato televisori e radio». Il gruppo è originario di Suceava, in Romania. Nel loro girovagare hanno sentito parlare dei censimenti nei campi rom. «Siamo d´accordo, perché ci piacerebbe avere un campo regolare con luce e acqua e stare un po´ tranquilli» dice Dragan. «Viva l´Italia» sorride Ivon, indicando il bastone e il tricolore che sventola all´ingresso del campo. Sono decisi. Vogliono restare e ostentano sicurezza. Eppure hanno sistemato tre materassi fuori dal campo. E la notte gli uomini dormono per strada. «Facciamo dei turni di guardia» confessa Gabriele. E Dragan: «E poi, se vediamo qualcosa di strano chiamiamo la polizia o i carabinieri. Loro sono fratelli nostri. Abbiamo anche i loro cellulari». Ma c´è chi teme il peggio: «Oggi più di ieri bisogna fare qualcosa - dice Patrizio Gragnano, assessore alle Politiche Sociali della VI municipalità - In due mesi i campi non sono stati bonificati». Gragnano chiede «una scelta politicamente coraggiosa»: «Creiamo un campo regolare a Ponticelli». Intanto la segreteria Cgil-Campania scrive una lettera al prefetto Alessandro Pansa, sul rilevamento delle impronte dei bambini rom: «Metodo inutile, che rischia di cancellare una cultura civile che il nostro paese e la nostra città hanno duramente conquistato». (Cristina Zagaria da la Repubblica Napoli)domenica 6 luglio 2008
Ritornano i rom a Ponticelli
Due mesi fa sono fuggiti tra le fiamme. Ora, sono tornati. Silenziosi, come ombre. Guardinghi, ma con orgoglio. Hanno rimesso piede nel quartiere. Loro, nomadi da generazioni, rivendicano un pezzo di terra, una casa, a Ponticelli. A due mesi dai roghi e dagli assalti ai sette campi rom del quartiere alla periferia Est, nella notte tra venerdì e sabato, un gruppo di 30 persone ha riaperto uno dei campi in via Argine. Ci sono solo due uomini: il capo famiglia Ivon, 50 anni e suo figlio Dragan, 28 anni. E poi tutte donne, bambini dai sei mesi agli otto anni e qualche ragazzino. Sono tornati nel loro vecchio campo, tra via Argine e via Nifo, a ridosso della fermata della Circumvesuviana, dopo un mese e mezzo di pellegrinaggio per Napoli. «Siamo tornati, perché qui abbiamo un lavoro, le nostre baracche, le nostre cose. Siamo tornati perché non siamo animali in fuga e neanche gli italiani sono animali. Siamo uomini e dobbiamo convivere, pacificamente» dice Dragan. Però la paura dei campi in fiamme e degli assalti è ancora viva. «Credevo di morire bruciato - ricorda Gabriele 13 anni - Per giorni non abbiamo mangiato: siamo scappati senza avere una meta precisa». «La prima notte abbiamo dormito alla stazione Garibaldi, poi sempre per strada, sempre in fuga da tutto. Mi sentivo spiata» dice Medda, 17 anni, incinta al sesto mese, mentre mostra i suoi ventagli. «Li faccio con carta e legno riciclati - spiega - e li vendo per strada a un euro. Io non rubo bambini e non rubo nelle case». E Dragan: «Abbiamo due carretti, ricicliamo il ferro. Tutto in regola. E la sera suoniamo per le strade». Larissa Tabita ha 7 anni: «Io voglio andare a scuola l´anno prossimo» racconta convinta. Il loro vecchio campo ha tutto il lato sinistro devastato dal fuoco. Solo a destra sono rimaste sei baracche. «Le stiamo ripulendo alla meglio - osserva Lina, la madre di Medda - perché hanno rovistato dappertutto, ci hanno rubato televisori e radio». Il gruppo è originario di Suceava, in Romania. Nel loro girovagare hanno sentito parlare dei censimenti nei campi rom. «Siamo d´accordo, perché ci piacerebbe avere un campo regolare con luce e acqua e stare un po´ tranquilli» dice Dragan. «Viva l´Italia» sorride Ivon, indicando il bastone e il tricolore che sventola all´ingresso del campo. Sono decisi. Vogliono restare e ostentano sicurezza. Eppure hanno sistemato tre materassi fuori dal campo. E la notte gli uomini dormono per strada. «Facciamo dei turni di guardia» confessa Gabriele. E Dragan: «E poi, se vediamo qualcosa di strano chiamiamo la polizia o i carabinieri. Loro sono fratelli nostri. Abbiamo anche i loro cellulari». Ma c´è chi teme il peggio: «Oggi più di ieri bisogna fare qualcosa - dice Patrizio Gragnano, assessore alle Politiche Sociali della VI municipalità - In due mesi i campi non sono stati bonificati». Gragnano chiede «una scelta politicamente coraggiosa»: «Creiamo un campo regolare a Ponticelli». Intanto la segreteria Cgil-Campania scrive una lettera al prefetto Alessandro Pansa, sul rilevamento delle impronte dei bambini rom: «Metodo inutile, che rischia di cancellare una cultura civile che il nostro paese e la nostra città hanno duramente conquistato». (Cristina Zagaria da la Repubblica Napoli)
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