Da più tempo si assiste ormai sgomenti al teatrino politico dell’accusa reciproca rispetto a chi ha voluto la costosa ed inefficiente privatizzazione del servizio idrico. Da chi accusa i sostenitori della legge Galli a chi accusa l’attuale governo, che con l’art.23 bis (D.L. 112/ 6 agosto 2008), vuole obbligare i comuni a cedere la gestione ai privati. Un teatrino incapace di guardare all’interesse superiore, come invece hanno fatto 144 comuni lombardi che, minacciando un referendum, hanno rivendicato con legge regionale, il diritto dei Comuni a decidere sull'acqua. Oppure come ha fatto la regione Piemonte che ha impugnato l’art.23 bis innanzi alla corte costituzionale. Altro esempio viene da Parigi, (12 milioni di abitanti) che si riappropria della fallimentare gestione privata che aveva portato i prezzi alle stelle senza dare in cambio un significativo miglioramento dei servizi. Basta con le ambiguità ed i fraintendimenti! Si prenda atto che la privatizzazione ha fallito. Non ha risolto i problemi del settore idrico, ha complicato la vita agli enti locali e si è rivelata per quello che era: un affare per pochi a danno di molti. L’acqua, come tutti i beni comuni, deve essere gestita in modo corretto, anche attraverso processi tecnologici ed industriali, ma senza diventare un bene economico per la competizione del mercato. Il servizio idrico deve essere un diritto da assicurare senza margini di profitto e speculazioni, privo quindi di rilevanza economica. Sul piano locale, i Comuni di Vico Equense e Sorrento, hanno chiesto di abbandonare l’Ato e la Gori per gestire in proprio, attraverso l’Arips, le risorse idriche. Questa mattina da Metropolis gli risponde Carlo Sassi. “Chiedere di uscire dalla Gori è solo demagogia”. L’ex Sindaco di Meta sostiene che l’Arips non ha strategie, ed è impossibile, alla luce dell’attuale quadro normativo uscire dall’Ato e dalla gestione della Gori.
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