Fonte: Elisa Rinelli da qdrmagazine.it
Sono felice. Felice perché, sebbene si parli di una tragica crisi economica e finanziaria da almeno due anni, noi, in Italia, abbiamo finalmente scoperto quale sarà la mossa strategica per uscirne: togliere l'Imu, grosso peccato mortale dell'ultima legislatura. Anzi, no, forse dovremmo addirittura restituirla.
Questo, al massimo, potrebbe essere lo scenario di considerazioni di un Paese florido, che vive del proprio lavoro, che mantiene entro i margini stabiliti il proprio debito pubblico, rispettando quella che è una sana e corretta proporzione col proprio prodotto interno lordo.
Ma non può succedere in un Paese come l'Italia. Un Paese che, non solo non cresce, ma che si indebita. Giorno dopo giorno.
Tutto si perde di vista nel nostro Paese. Priorità, obiettivi, programmi. E' sufficiente una promessa da marinaio in piena campagna elettorale ed ecco qui che i sondaggi impazziscono, si capovolgono. Le elezioni si perdono.
Allo stesso modo, e con la medesima logica ricattatoria e controproducente, la questione Imu diventa la merce di scambio di un governo destinato ad un armistizio obbligatorio. Ordine del giorno del primo consiglio dei ministri. Spada di Damocle sulla testa di un Premier ad orologeria che passerà alla storia se solo saprà fare da collante ad un patchwork così variopinto ed eterogeneo.
Eppure, un rapporto sugli immobili in Italia stilato dall'Agenzia del Territorio e delle Entrate ci dice che dei 41,5 milioni di contribuenti italiani, solo il 59% è proprietario di un immobile. Tra questi non tutti sono tenuti al versamento dell'imposta, visto che per le fasce di reddito più basse le detrazioni arrivano ad azzerarla.
E si scopre quindi che circa la metà delle famiglie italiane, l'Imu non la paga. Inoltre, secondo alcuni calcoli, al primo decile della distribuzione ci sono solo il 26,4% di famiglie con Imu positiva e questa percentuale aumenta all'aumentare del reddito, fino ad arrivare al 78,7% dell'ultimo decile. Comprovando che più della metà del gettito dell'imposta comunale deriva dalle fasce sociali più abbienti, annullando da un lato il senso sociale dell'abbattimento dell'Imu.
Passando poi alle questioni generazionali, si viene a sapere che solo poco più di 800.000 contribuenti nella fascia d'età tra i 21 e i 30 anni sono proprietari di case: il 3,5% della totalità proprietaria. Soltanto dopo i 30 anni la percentuale aumenta, dimostrando che solo proiezioni fantasiose degne di premio Nobel potrebbero garantire che un eventuale abbattimento sia agevole per quella fascia di popolazione ancora troppo giovane per accedere al mercato del lavoro e spesso già troppo adulta per rischiare di fuoriuscirne.
E il buco di 4 miliardi, (8 in caso di restituzione della somma versata precedentemente) che i Comuni si troverebbero a supportare? Come si farà fronte a servizi che tutti riteniamo essenziali, se venisse a mancare proprio una delle fonti maggiori di introito per le casse pubbliche locali?
In una società ferma come la nostra, in cui almeno un paio di generazioni si ritrovano nel limbo dell'incertezza sociale, sulle cui aziende pesa un onere economico e fiscale quanto mai inadeguato ad un'ipotesi di crescita occupazionale, in cui, dati DEF alla mano, si prefigura un tasso di disoccupazione crescente per tutto il 2014, quello che servirebbe è un meccanismo accelerativo che, partendo da una doverosa diminuzione dei costi del lavoro, produca prima di tutto lavoro. Poi, una maggiore propensione al consumo e all'investimento. E che, non solo ci consenta di fronteggiare l'emergenza, spostando la destinazione economica da un obbligo erariale ad un altro, ma che incida sulla sicurezza sociale di ognuno di noi contribuendo nel tempo a ridare slancio ad un'economia in piena recessione.
Ragioniamoci. Un esito immediato può esser un punto di vantaggio, ma solo raramente una vittoria certa
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