domenica 1 aprile 2018

Vico Equense. Al museo del Cinema incontro su Monsignor Michele Natale

Il prelato fu una vittima illustre della reazione borbonica alla caduta della Repubblica Napoletana 

Vico Equense - “Lassatemillu manià; nu vescuvu mpisu nun è ccosa ‘e tutt’e juorne”. Furono queste parole ad accompagnare il boia Tommaso Paradiso (detto Tommaso delle Vicinanze) di Monteforte Irpino, a morte avvenuta, di Monsignor Michele Natale in Piazza Mercato nel 1799. Il prelato fu una vittima illustre della reazione borbonica alla caduta della Repubblica Napoletana, era nato a Casapulla, in provincia di Caserta, il 23 agosto 1751; ordinato sacerdote il 23 dicembre 1775, era stato nominato Vescovo di Vico Equense il 12 settembre 1797. Dopo aver aderito alla Repubblica Napoletana del 1799, era stato arrestato e segregato nel carcere della Vicaria di Napoli il 1° agosto quando la Repubblica era caduta; condannato a morte da parte della Giunta di Stato, il 19 agosto era stato “sconsacrato”e il 20 agosto 1799 era stato ucciso mediante la forca, e non con la scure, riservata, invece, ai nobili nella stessa tragica giornata. Ieri sera, nell’ambito della manifestazione Spaziar(t)e, organizzata da Vicolab e patrocinata dal Comune di Vico Equense, nello storico palazzo comunale si è tenuta una conferenza con la partecipazione di Sergio Puttini, imprenditore e cittadino vicano, che ha più volte segnalato, di aver individuato, durante un sopralluogo casuale, il luogo ove sarebbero ubicate le spoglie mortali dell’ultimo vescovo di Vico Equense. Puttini, nel corso dell'incontro si è augurato che i resti del prelato, che fu uomo di cultura e di grandi interessi, possano ritornare un giorno a Vico Equense. Monsignor Natale dopo l'adesione alla Repubblica Napoletana del 1799, ruppe ogni rapporto con i vicani, sia come vescovo sia come sindaco, vivendo a Napoli, sempre fedele alla Repubblica.
 
A questo punto, cambiate le sorti della città con l’arrivo delle truppe borboniche, dovette uscire di nascosto travestendosi da francese. Ma fu riconosciuto da un vicano e arrestato. Fu condannato all’impiccagione restando sospeso per 24 ore penzolante dal patibolo. Con lui anche Eleonora Fonseca Pimentel. Morì a 48 anni. Per la città rappresentava un punto di riferimento e in breve tempo impresse nei cittadini la sua ricca personalità. La storia romanzata vuole che prima di morire abbia maledetto il vicano che lo additò e lo portò all’impiccagione così come la città di Vico da cui proveniva il delatore. E visto che la storia si legge dopo la fine dei fatti e col tempo, ora la storia del vescovo assume una nuova luce, fatta di lustro e di volontà di reintegrarlo in una società che a quel tempo non era pronta per accettare idee così rivoluzionare e che sicuramente non voleva scontrarsi con l’autorità più alta della città, ma era solo spaventata dalle nuove idee portate dai venti della rivoluzione. D’altra parte lo stesso vescovo, pur essendo nato a Casapulla, resta legato a questo territorio per la sua intensa attività che qui ebbe. Vico rappresenta per lui un luogo di forte richiamo per gli interessi che qui sviluppò e allo stesso tempo i vicani si sentono legati a lui per essere l’ultimo vescovo che aveva assolto anche a funzioni di sindaco con sviluppi politici e sociali.

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