Giuseppe Guida |
Quest'anno complicato dal punto di vista pandemico, ma risolutivo sul versante del rilancio dell'edilizia con bonus, ecobonus, agevolazioni e sconti (che stanno producendo anche alcuni scempi su facciate e strutture di fabbricati storici), si chiude con una buona notizia per un paesaggio che le amministrazioni locali, in primis, e le sovrintendenze in seconda battuta, spesso ritengono territorio disponibile ad essere trasformato ed alterato: la Penisola Sorrentino-Amalfitana. Su uno dei territori più vincolati al mondo, attraverso il piano paesaggistico (il PUT), vincoli idrogeologici, vincoli paesistici, vincoli ex-legge Galasso, vincoli di alcuni strumenti urbanistici comunali, vincoli archeologici e vincoli marini, la Regione Campania, con la famigerata legge sul Piano-casa, si era subdolamente infilata con un'accezione normativa che trasformava questo territorio in un luogo dove, a fronte di pochi scartiloffi da presentare agli uffici urbanistici e alla solita Sovrintendenza, è consentita un'attività edilizia sostanzialmente libera. Tale legge regionale, la numero 19 del 2009 (detta Piano casa, appunto), consentiva di andare in deroga alle nonne del piano paesaggistico (il Put) dovunque, tranne, recitava la legge sartoriale scritta da chissà chi, nelle aree con vicoli di "inedificabilità assoluta" che, di fatto, sono praticamente solo le falesie a picco sul mare della Costiera amalfitana e la cima dei Monti Lattari.
E così il legislatore regionale, fingendo di introdurre una regola di buon senso, introduceva invece un comico artificio lessicale, una sorta di gioco non-sensé alla Gianni e Pinotto, dando la stura ad una speculazione edilizia ai danni del bene pubblico (paesaggio), comunque già in atto attraverso altri mezzucci, che si somma ad un abusivismo edilizio con scarsi controlli e controllori. A porre rimedio a questa grave condizione di fatto e di diritto, ci hanno pensato alcune associazioni ambientaliste che hanno promosso diversi ricorsi contro alcuni permessi di costruire particolarmente rilevanti, ma placidamente approvati, nel caso specifico, dal Comune di Sorrento e dalla non sempre solerte (in altri casi) Sovrintendenza. Fatta tutta la trafila dei ricorsi amministrativi, la questione è stata portata dinanzi alia Corte costituzionale che, con una sentenza del 28 dicembre, ha dichiarato l'incostituzionalità di questa norma. La sentenza, è una sorta di richiamo al legislatore regionale e a chi, acriticamente, ha applicato quella legge. Il consentire di derogare ai Put nella parte in cui esso non prevede limiti di inedificabilità assoluta, scrive la Corte costituzionale, contravviene al principio di prevalenza gerarchica del piano paesaggistico su tutti gli altri strumenti di pianificazione territoriale e urbanistica. È legislatore campano, prosegue la Corte, ha finito per degradare la tutela paesaggistica da valore unitario prevalente a mera "esigenza urbanistica" e, perciò, per compromettere quell'impronta unitaria della pianificazione paesaggistica che la normativa statale ha invece assunto a valore imprescindibile, ponendola al riparo dalla pluralità e dalla parcellizzazione degli interventi delle amministrazioni locali. Ne rileva il fatto, chiarisce la Corte, che l'idea della Regione era quella di una rivitalizzazione dell'attività edilizia nel territorio, caratteristica della legislazione sul cosiddetto Piano casa. Anche questa idea, aggiungiamo, fasulla ed ipocrita se applicata ad un territorio con i valori immobiliari tra i più alti d'Italia e in costante aumento. Tale normativa sul Piano casa, continua la Corte, pur nella riconosciuta finalità di agevolare l'attività edilizia, non può far venir meno la natura cogente e inderogabile delle previsioni del Codice dei beni culturali e del paesaggio, adottate dal legislatore statale nell'esercizio della propria competenza esclusiva in materia di tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali. Affermazioni limpide che dovranno essere ribadite anche per le tante altre regole che consentono deroghe e fanno distinguo e arzigogoli e che stanno generando un consumo di suolo di centinaia di ettari all'anno, alterando l'immagine di paesaggi che invece meriterebbero ben altro tipo di tutela, di governo, di persone. Insomma, che questa sentenza scontenti chi, con fondi anche di dubbia provenienza, si stava organizzando per continuare il sacco del poco territorio che rimane di queste aree di pregio si può anche capire. Si capisce meno perché la Regione Campania abbia ritenuto di scrivere quella nonna incostituzionale e triviale. E si capisce ancora meno perché le singole amministrazioni comunali non stiano mai e in nessun caso noto, dalla parte del paesaggio, dei beni collettivi, del futuro dei loro territori. Ma questa è un'altra storia che varrà la pena di essere scritta e raccontata.
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