Il 7 febbraio 1913, nasceva a Tramonti il “frate delle
colombe”, lo ricordiamo con un’intervista “impossibile” di Filomena Baratto
pubblicata a novembre 2016 Vico Equense - Un bel po’ di anni fa andando a San
Francesco con mio padre, fuori al convento, da lontano, vidi Frate Cosimo con
mio zio alle prese con un grande vaso: entrambi cercavano di piantare delle
viole intorno a un’alta pianta. Mio padre entrò nel convento mentre io,
chiamata da mio zio, mi trattenni fuori. Fra’ Cosimo si avvicinò e con i suoi
occhi lacrimanti, un po’ chiusi, mi guardò fisso in viso. Mio zio gli disse che
ero sua nipote e lui incrociò il mio sguardo forse riconoscendomi o forse no.
Fu commovente rivederlo dopo tanti anni ma fui un po’ delusa che a stento mi
salutò. Si rivolgeva a mio zio e mi guardava come faceva quando ero piccola.
Quello che mi rassicurò fu il suo sorriso aperto di quando andai via, anche se
aveva perso l’argento vivo di una volta. Al ritorno, manifestai il mio pensiero
a mio padre e compresi in quel momento che erano passati quasi quarant’anni e
che certamente nella sua mente ero diventata un pulviscolo. Questo accadde poco
prima che morisse. Ritornai qualche tempo dopo esattamente nel posto dove
c’eravamo incontrati. Il vaso con le viole non c’era più. Era una giornata di
sole e aggirandomi per il piazzale ebbi l’impressione che da un momento
all’altro venisse fuori da qualche antro. Sedetti su una panchina e pensai a
tutte le domande che avrei voluto fargli e che non gli rivolsi. “Ti ricordi di
me?” “Certo che mi ricordo di te! Tu, invece, come fai a ricordarti di me? Eri
così piccola quando eri qui!” “Mi ricordo, eccome! Ricordo tutto. Eppure,
l’ultima volta che ci siamo visti, sei sembrato così lontano, eri come
assente!” “Figlia mia, ma sai quanti anni sono?
Questo involucro ha lavorato tanto, sai?” “Che bel
posto qui, hai reso questo luogo solare, gli hai trasmesso la tua vitalità.
Quando vengo qui, immancabilmente ci trovo te!” “Sto qui da una vita, io parlo
con tutto quello che è qui, questa è la mia casa”.“Lo vedo, lo so. Sono
tantissimi anni ormai. Ma è vera questa tua aria di santità di cui ti sei
ammantato?”. “Santità…sono solo un povero frate che ha preso i voti. Sto qui da
cinquant’anni, conosco tutte le pietre, l’aria che respiro. Sto bene qui”.
“Intanto molti hanno gridato al miracolo.” “L’unico miracolo è l’amore. Io ho
pregato per tutti quelli che non ce la facevano da soli o che credevano di non
farcela. Mai perdere la fiducia in se stessi e la fede in Dio”.“Questo spirito
di sacrificio che ti ha contraddistinto, da dove nasce?” “Sai da dove vengo io?
Da Tramonti, in provincia di Salerno. E’ un paesello sulle montagne, e da lì
sono arrivato qui. Non avevo niente, solo un’idea: di essere come San Francesco
e seguire le sue orme. E così ho fatto. Nella vita è importante seguire
un’idea, la nostra idea, non importa che sia grande o piccola. Diventa poi la
nostra grande ragione di vita.” “Come hai fatto a vivere con il solo aiuto
delle persone?” “Avendo fede. La fede rende forti, e la preghiera ci aiuta
sempre.” “Ti ricordi quando passavi per casa a prendere le noci, le provviste?”
“Quante benedizioni vi ho mandato! Quelle noci, l’olio, i prodotti della terra.
Era una festa ritirarsi al convento con tanta bontà. I nonni mi hanno sempre
aiutato.” “La tua fede non ha mai vacillato?” “La fede, come l’amore, va
continuamente corroborata. Non è acquisita a vita. Una pianta se non la curi
muore. La mia fede è stata rafforzata da tutti quelli che ho sempre avuto
accanto. Ricordati senza gli altri non siamo nessuno!” “Ricordo anche i tuoi
modi un po’ burberi nel contrattare col prossimo.” “Il carattere era di un
guerriero, la forza di un soldato e l’impegno continuo.” “Ti ho menzionato in
un mio libro, nel romanzo su mia madre, secondo quanto ho saputo dai nonni e da
mio padre, e quello che io stessa ricordo, spero non ti dispiaccia!” “Si vede
che avevi bisogno del mio contributo. Perché dovrebbe? E poi abbiamo condiviso
un periodo di vita insieme”.“So che molti hanno gridato al miracolo grazie a
te!” “Ti ho già detto che ho solo pregato per loro!” “Ma conosco casi dove sei
stato chiamato e portato al capezzale del malato e, mentre loro si disperavano,
tu li riportavi in vita”. “Molte volte forse anche l’ignoranza o la devozione
totale hanno agevolato il mio compito. L’unico mio strumento è stato la
preghiera!” “Perchè hai scelto di fare il frate e non il sacerdote?” “Ho
mantenuto fede alla mia prima volontà, quella di essere un frate, un povero
frate. La povertà mette in luce quello che realmente siamo. Siamo tutti bravi,
belli e buoni con i soldi, ma essere poveri mette in mostra la nostra vera
natura. Vivevo di quello che riuscivo a cercare”.“Lo so. In molti casi hai
ridato indietro le cose di cui ti facevano dono. Ma non è offensivo questo
atteggiamento?” “Molti si toglievano cose personali per darle a me e non l’ho
mai accettato. Bisogna essere misurati, non eccedere, parsimoniosi. Il Signore
dice meglio parsimoniosi che prodighi!” “Ricordo anche dei casi in cui, quando
non rispondevano alla questua, dopo che ti allontanavi da quella casa, le
mucche stavano male. Come successe anche alla stalla dei nonni?” “Ti ricordi
bene! Il Signore manifestava il suo disappunto facendo ammalare le bestie e poi
chiamavano me per farle riprenderle. Così dopo, mi davano tutto quello che
prima non avevano voluto donarmi, ma questa volta convinti che me lo fossi
guadagnato. Un modo questo per attivare la loro generosità”. “Oggi, come allora
le sostanze dicono più dell’umiltà. Ognuno tende a conservare, a risparmiare, a
trattenere per sé.” “Il denaro è sempre vile, soprattutto se guadagnato in malo
modo. Vedi me, non avevo niente, niente ho lasciato, ma sono contento di quello
che ho seminato. Molti credono l’inverso. Il nostro ricordo più importante è
quello delle nostre azioni!” “Ti ricordi quando passavi da noi e mi dicevi che
dovevo andare in prima elementare perché sapevo già scrivere? Poi è successo
quello che avevi predetto tu: non avendo compiuto ancora sei anni, la scuola a
San Salvatore non mi volle, compivo gli anni a marzo. E così me ne rimasi a
casa a giocare e a scrivere come avevo sempre fatto. Non volli più andare alla
scuola materna di Massaquano. Mi annoiavo a fare sempre le stesse cose. Meglio
a casa a fare quello che più mi piaceva. Mi dispiacque lasciare le compagne,
tra cui una bambina di nome Rossella” “Qualcosa ricordo, di sicuro che scrivevi
il tuo nome e cognome e sapevi contare e scrivere i numeri. Ricordo che quando
arrivavo al cancello di Avigliano eri sempre in qualche posticino a scrivere o
a disegnare, sempre a fare qualcosa. “Mi piacerebbe farti conoscere tipi di
oggi, di persone maleducate, irriconoscenti, pretenziose, superbe, mi
piacerebbe che tu le scuotessi com’era tuo solito fare con quelli che già da
lontano capivi fossero tipi da “trattare”. “La regola è quella che dicevamo
quando eri piccola: educare è come coltivare: si pota, si taglia, si concima.
Vuoi essere un grande albero o un piccolo alberello con quattro foglie?”. “Sai,
l’altro giorno a scuola ho portato questo esempio, tutti hanno ascoltato in
religioso silenzio!” “Allora è arrivato a loro il messaggio!” “Credi ci sia
ancora posto per la preghiera oggi, che ci sia umiltà? L’esempio di San
Francesco è ancora vivo?” “Non ci resta altro che l’umiltà, ci fa vedere le
cose come sono, in modo reale. San Francesco è un modello vero, nella vita non
avrei potuto seguire nessun altro esempio!” “Questo luogo porta la tua firma.
Ti ricordi quando piantasti le viole con mio zio? Grazie a te è diventato un
luogo visitato e unico. Chi viene qui vede te, ricorda le tue parole, qualche
volta anche la tua prepotenza nel rivolgerti agli altri, ma sempre con grande
seguito”. “Ogni uomo ha un suo luogo nel cuore. Qui, se alzi lo sguardo e ti
guardi intorno, tutto ti parla di me…e poi non toccatemi le tortorelle, le mie
colombe!” “Una volta sono stata al presepe vivente ad Agerola e a un certo
punto sei apparso tu con le colombe. E’ stato lì che ti ho visto dopo tanto
tempo. Mi dispiace non esserci incontrati più…Ti avrei potuto raccontare un po’
di cose!” “Non credere che non le sappia. Ma è significativo esserci visti poco
prima della mia fine, forse avevo bisogno io di riconciliarmi”. “Grazie per
questa conversazione, forse in vita non avremmo mai parlato così tanto!”
“Adesso ho più tempo a disposizione di quando ero in vita e poi sto qui, chi mi
cerca, sa dove trovarmi, anche tu.” “Lo so, a presto!”
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