venerdì 18 gennaio 2013

Ma quelle liste vanno cambiate

Ore decisive in Campania per poter governare 

Fonte: Giustino Fabrizio La Repubblica Napoli 

La malattia che più frequentemente colpisce la sinistra italiana, lo sappiamo, è l'autolesionismo. Noto anche come tafazzismo, dal nome del personaggio inventato anni fa da Aldo, Giovanni e Giacomo, la cui specialità consisteva nel girare con una bottiglia di plastica e darsela a ripetizione proprio lì sui cosiddetti. Gli esempi del recente passato sono tanti, dalla "gioiosa macchina da guerra" di Occhetto che perde nel 1994 le elezioni che crede di avere già vinto, alla performance del senatore Turigliatto che nel 2008 fa cadere il governo Prodi e fonda Sinistra Critica, un movimento di massa tra pochi intimi. La stella polare di questi comportamenti è la mancanza di realismo, difetto di non poco conto per chi fa politica di professione e dovrebbe avere ben presente la distinzione tra ciò che si vuole e ciò che si può. Spesso affiora anche la vanità personale o di gruppo, che fa preferire un successo della propria crocchia al raggiungimento di un traguardo di più vasta portata. Nello schieramento di sinistra che si accinge ad andare alle elezioni in Campania, nelle scelte del Pd e in quelle del movimento Ingroiade Magistris, ci sono tutte le premesse dell'ennesimo disastro. Come è noto, la Campania è una delle regioni decisive per poter governare. Se infatti alla Camera il premio di maggioranza va alla coalizione che ottiene il maggior numero di voti, e la coalizione di Bersani ha fondate speranze di farcela, al Senato invece il premio di maggioranza viene assegnato su base regionale. In Campania, per esempio, chi arriva primo prende 16 senatori, tutti gli altri se ne dividono 13.

Diciamo che ragionevolmente tra arrivare primo o secondo, anche per un solo voto, c'è una differenza di ben venti senatori, tra i dieci in più che si prendono e i dieci che si tolgono all'avversario. Ecco perché è fondamentale concentrare le proprie forze migliori nelle regioni dove il risultato è più incerto. Ben lo sa Berlusconi, che si fa beffe dei buoni propositi e non rinuncia a schierare in lista gli acchiappavoti Cosentino e Cesaro: se poi siano vicini alla camorra, come qualche pentito dice e qualche magistrato sospetta, è secondario. Anzi. Non si vuole, qui, fare un discorso moralistico o giustizialista: anche il Pd ha ancora in lista qualche nome imbarazzante, come quello del consigliere regionale Caputo e forse altri. Però ha Rosaria Capacchione. Il punto è un altro. Ed è che le liste del Pd, come giustamente notato da molti, tra cui un esperto non da poco di campagne elettorali come Antonio Bassolino, sono deboli. Sono davvero pochi i candidati capaci di portare un valore aggiunto. E soprattutto sono molti quelli che non hanno alcun legame con il territorio, catapultati qui dai posti più disparati. Come Luciana Pedoto, già eletta a Napoli nel 2008 e da allora mai più vista a qualche iniziativa politica. Come Mauro Del Vecchio, eccellente generale di corpo d'armata, nato a Roma, residente a Milano, eletto nel Lazio nel 2008 e il cui legame con il territorio consiste nell'aver partecipato ai soccorsi per il terremoto dell'80. Ci fermiamo qui, sperando che nei giorni che ancora restano per presentare le liste ci sia qualche utile ripensamento, e passiamo al secondo aspetto autolesionistico della sinistra, che ruota attorno al termine "desistenza". Berlusconi in Campania perde rispetto al 2008 l'apporto dei centristi. Ma si tratta di una rottura politica, esplicitata dalla candidatura a premier di Monti, disposto ad allearsi con la sinistra e non con la destra. Bersani invece perde l'apporto dello schieramento Ingroia-de Magistris, benché entrambi gli ex magistrati considerino Berlusconi l'avversario principale. Epperò de Magistris, poiché pensa di poter raggiungere in Campania quell'8 per cento che consentirebbe agli arancioni di entrare in Senato, preferisce mettere in pericolo la vittoria della sinistra pur di ottenere un successo per il proprio gruppo. Ma sarebbe un successo? Se gli arancioni si fermeranno sotto l'8 per cento, i voti raggranellati saranno sprecati. Se invece andassero in Senato, sarebbe anche peggio. La loro vittoria, infatti, avverrebbe quasi certamente a scapito della coalizione di Bersani, poiché i due gruppi pescano nello stesso serbatoio di voti. A quel punto Bersani sarà costretto, a seconda dei numeri, a cercare la maggioranza o con i centristi di Monti o addirittura a fare una grossa coalizione istituzionale con Berlusconi per riscrivere regole che consentano di governare. Il risultato del successo della lista arancione sarebbe dunque paradossale: avere un governo sempre più condizionato da Monti o da Berlusconi e dunque tanto più lontano dalle proprie posizioni. Non ci sembra una scelta saggia da parte di un sindaco alle prese oggi con le enormi difficoltà di governare Napoli e che un giorno sì e l'altro no va a Roma con il cappello in mano per chiedere aiuto.

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