Castellammare di Stabia - “La lezione più grande della Shoah per un adolescente, sta probabilmente nella considerazione e nella presa di coscienza che fatti accaduti più di sessant'anni fa nel cuore dell'Europa non devono più ripetersi, e nella certezza che da quella lezione debba essere favorito il dialogo, l'accettazione dell'altro e la promozione della pace tra i popoli”.
“Nella Shoah si è potuto riconoscere l’aspetto più crudele e malvagio dell’essere umano. Uccidere in maniera cosi brutale un altro uomo solamente perché ebreo, senza rimorso e compassione alcuna, risulta ancora oggi incomprensibile. Siamo probabilmente noi giovani, più di altri, a dover raccogliere il testimone di questa Memoria, perché la crudeltà e l’ingiustizia che sono state “le migliori protagoniste” a partire dalla metà del ventesimo secolo, siano definitivamente relegate, esse sì, nell’oblio degli atteggiamenti che l’uomo può tenere”.
“Quando vedo film e documentari sull’Olocausto mi chiedo se ancora oggi esista il pericolo che possa verificarsi una situazione similare e mi vengono in mente le parole che Primo Levi ha scritto ne I sommersi e i salvati: “E’ avvenuto, quindi può accadere di nuovo: questo è il nocciolo di quanto abbiamo da dire”. Sta a noi dunque vigilare perché non accada ancora”.
“Il ricordo di quei padri e quelle madri rassegnati e amareggiati che assistono impotenti ai pianti di bambini indifesi, atterriti e incoscienti di ciò che realmente stava accadendo in quei terribili anni, sono immagini che resteranno per sempre nella nostra mente”.
“Potrai leggere tutti i libri sulla Shoah, vedere tutti i film che ne parlano, ascoltare molte testimonianze, ma mai potrai davvero comprendere cosa i deportati hanno dovuto sopportare, rinchiusi e mandati a morire nei campi di concentramento! A volte provo ad immaginarlo, per comprendere quelle sensazioni e quel brivido che lentamente ti scende lungo la schiena nella consapevolezza di essere davanti alla morte, ma non ci riesco: ovvio, è impossibile”.
“Vedere le immagini di quei terribili campi di sterminio, di uomini costretti a lasciare tutto perché considerati “diversi”, mi fanno domandare: perché? diversi da cosa? diversi da chi???. Non sono pur sempre esseri umani che vivono, respirano, provano emozioni come tutti gli altri? E allora che diritto avevano di giudicarli diversi? Ai deportati veniva tolto tutto: i loro ben materiali, i loro ricordi, la loro dignità, la loro identità. Di loro non rimaneva neanche il nome, sostituito da un numero come unico segno identificativo! In Se questo è un Uomo, di Primo Levi, mi ha colpito soprattutto questa frase: “Accade facilmente, a chi ha perso tutto, di perdere se stesso!”. Ebbene, questo è vero! Anche se non ce ne rendiamo conto, noi stessi, ciò che siamo e rappresentiamo, spesso dipende dalle persone che ci circondano e purtroppo anche da ciò che possediamo. Ma quando si perde tutto, si perde la dignità, si perde l’identità, è difficile ritrovarsi e si inizia a pensare secondo quello che pensano gli altri: che si è una nullità, che la propria vita non vale assolutamente nulla, e che continuare così sarebbe solo una perdita di tempo: è forse questo quello che pensavano, anzi, che i tedeschi facevano pensare agli ebrei? Provate ad immaginarvi di essere in questi campi di morte, rasati, senza un nome, senza un’identità propria, senza niente che ti appartenga, nessuna compagnia, ma solo un vestito a strisce, una scodella e un vago ricordo del passato. No, davvero oggi non riesco ad immaginarmi come debba essere stato vivere quell’orrore,
ma di certo sono attonita di fronte alla freddezza e all’indifferenza con cui gli uomini della Gestapo sequestravano intere famiglie conducendole ai campi di morte … ma è davvero così facile uccidere un uomo?”
“Mi viene in mente la visita al campo di concentramento di Dachau, Monaco, due anni fa.
Rimasi sbalordito e allo stesso tempo infastidito per la naturalezza con cui la guida ci spiegava le atrocità subite dagli ebrei per mano dei nazisti. Mi colpirono particolarmente le camere a gas dove gli ebrei entravano, ignari di ciò che gli sarebbe successo di lì a poco, i dormitori con letti di legno a castello un tempo gremiti di uomini, la scritta sul cancello all' ingresso: "Arbeit macht frei" (Il lavoro rende liberi). Questa esperienza mi ha fatto riflettere sul fatto che la sete di potere rende gli uomini irragionevoli. In un' ottica ottusa di interessi personali, l'uomo sottrae la libertà al prossimo, ma la libertà sconfinata del primo rappresenta la limitazioni a quella del secondo e questo non è ammissibile”.
“Le ferite di questa tragedia umana, ancora aperte e sanguinanti e che difficilmente potranno essere sanate col tempo, sono pericolosamente richiamate dagli odierni episodi di razzismo che si verificano la domenica negli stadi di tutto il mondo: la consapevolezza, la responsabilità e l’ impegno civile devono essere i baluardi a difesa della libertà, della dignità e della democrazia, perché le atrocità della storia, non si ripetano ancora”.
DIRETTIVO GIOVANI ITALIA FUTURA STABIAE
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