Antonino Miccio |
«Troppe barche negli specchi d'acqua di Capri e di Ischia? Al caos si rimedia soltanto istituendo campi ormeggio per i natanti e incrementando i controlli sui diportisti»: ne è convinto Antonino Miccio, direttore del Parco marino di Punta Campanella e vicepresidente dell'Associazione italiana dei direttori e dei funzionari delle aree protette (Aidap). Il manager snocciola la sua ricetta mentre nel golfo di Napoli si accende il dibattito sulle contromisure necessarie per evitare che il numero spropositato di imbarcazioni deturpi l'ecosistema marino e comprometta la sicurezza dei bagnanti. Anche lo specchio d'acqua di Marina del Cantone, a Massa Lubrense, è spesso affollato. Che cosa si può fare per limitare il caos? «Nel 2016 abbiamo istituito il campo ormeggio nella zona delle Mortelle: da allora, previo pagamento di un ticket da dieci euro, circa 40 diportisti possono quotidianamente ormeggiare in un luogo bellissimo e fino a quel momento inaccessibile. Il tutto in piena sicurezza, senza danneggiare i fondali o compromettere l'attività dei pescatori. Si tratta di un servizio ecosistemico ed ecocompatibile che non è ancora stato replicato nel golfo di Napoli ne in altre località campane». Ma 40 posti non sono pochi a fronte del crescente numero di barche a mare. Come si fa la selezione? «È inevitabile che qualche diportista sia destinato a rimanere fuori dal campo ormeggio. D'altro canto, a mare come nella vita quotidiana, chi tardi arriva male alloggia. Intanto, però, questa iniziativa ci ha consentito non solo di contenere il caos nei pressi di Marina del Cantone, rendendo accessibile e nello stesso tempo tutelando una zona di particolare pregio, ma anche di selezionare i turisti che ormeggiano alle Mortelle: generalmente si tratta di famiglie disposte a pagare il ticket pur di trascorrere una giornata al mare in sicurezza».
Perché una simile iniziativa non è stata ancora avviata a Capri oppure a Ischia? «Innanzitutto un campo ormeggio è costoso, soprattutto in termini di gestione, perché richiede personale. In secondo luogo, la sua istituzione presuppone un accordo tra Aree marine protette. Comuni e portatori d'interesse come ristoratori e pescatori: i primi temono spesso che la creazione di un campo ormeggio, in cui è previsto il pagamento di un ticket, scoraggi i diportisti che solitamente si recano in quello stesso luogo; i secondi, invece, devono fare i conti con una inevitabile riduzione degli spazi a loro disposizione. Il caso di Ischia, poi, è particolare». Perché? «Le incertezze legate all'Area marina protetta del Regno di Nettuno, per lungo tempo commissariata, non hanno favorito l'istituzione di un campo ormeggio che pure era stato proposto. Stesso discorso per le divergenze tra i sei Comuni. Sono certo, comunque, che l'obiettivo sarà presto centrato: servono programmazione, investimenti e la volontà di trovare un equilibrio tra esigenze di sviluppo economico e necessaria conservazione del territorio. Sarebbe bene che i campi ormeggio fossero creati e gestiti dalle Aree marine protette che hanno una visione d'insieme delle zone in cui operano. Ma è evidente che, al di fuori dei Parchi, a prendere l'iniziativa possono essere soltanto i Comuni o i titolari di una concessione demaniale». Non crede che alle amministrazioni locali stia bene questo numero spropositato di barche a mare che, tutto sommato, garantisce un ritorno economico e d'immagine? «No, i Comuni non hanno alcun interesse ad alimentare il turismo selvaggio. Anche perché, spesso e volentieri, i diportisti gettano l'ancora al largo di una località ma non vi lasciano un solo euro. E mi risulta difficile pensare che un'amministrazione non sia interessata a salvaguardare le praterie di posidonia e le tradizioni di pesca che pure costituiscono un'attrazione per i turisti». Il campo ormeggio è l'unico argine al caos? «Servono anche controlli più serrati sulla velocità tenuta dalle imbarcazioni e sul comportamento dei diportisti. Ancora troppe persone, per esempio, fanno lo shampoo ai figli in barca e lasciano che la schiuma inquini il mare. La storia recente del Parco marino di Punta Campanella, però, insegna che la strada maestra resta quella del campo ormeggio che, tra l'altro, si autofinanzia: con i circa 20mila euro di incasso annuale copriamo le spese e troviamo pure le risorse per altre attività di tutela ambientale».
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