martedì 21 febbraio 2017

Da Schettino a De Luca. L`ascesa del soldato Pd

In politica a 21 anni, guida i dem contro DeMa alla Città metropolitana. Lo chiamano "IbraTitovic" e sogna la Regione. Gli amici: «Non lascerà» 

Fonte: Salvatore Dare da Metropolis 

Meta - Il suo cellulare squilla a vuoto per tutta la giornata. Giuseppe Tito non vuole parlare, è scosso. A caldo pensa alle dimissioni. Poi trova la forza di andare avanti. «Sono pulito, ne uscirò» sussurra nel salotto di casa a familiari e amici. Il sindaco di Meta viene travolto da un'inchiesta che rischia di fermarlo nella sua ascesa politica iniziata a soli 21 anni. Tito guida il gruppo del Pd alla Città metropolitana di Napoli e non è un mistero che sogni una cavalcata verso la Regione e il Parlamento. A patto che la batosta sia smaltita al meglio. Una vita a sinistra. Fedelissimo del centrosinistra, 44 anni il prossimo luglio, Tito è l'uomo forte del Pd in penisola sorrentina. Un discepolo dei consiglieri regionali Mario Casillo ed Enza Amato, un punto di riferimento per il governatore Vincenzo De Luca che prima del Referendum del 4 dicembre scorso accompagnò da vicino nel tour elettorale tra Sorrento e Piano di Sorrento. Lui, «il sindaco del popolo» come ama definirsi pubblicamente e sui social network, «Imperatore» o «Ibratitovic» per i suoi seguaci, tenta di imbastire una difesa.


E probabilmente chiederà di essere interrogato nei prossimi giorni. E' il 1994 quando Tito viene eletto consigliere comunale e matura al fianco del sindaco Carlo Sassi. Scala posizioni e gerarchie, ottiene preferenze su preferenze, diventa un uomo forte del centrosinistra a Meta e dintorni e culla la fantasia della fascia tricolore già nel 2009 quando sostiene la candidatura del presidente del consiglio comunale uscente Paolo Trapani e vola in giunta. Lo chiamano subito "super-assessore", ottiene le deleghe a sanità e corso pubblico, si crea il tragitto verso la poltrona di primo cittadino. E secondo la Procura tra mazzette e forzature sugli appalti. Il trionfo con Schettino. Alle Comunali del 2014 si presenta alla guida di una lista civica e il Pd non gli concede il simbolo. Lui si ribella, tira dritto e fa rotta sulle urne grazie anche al sostegno del suo amico Francesco Schettino. Il comandante della Costa Concordia piomba a un suo incontro elettorale a cui partecipa anche Filippo Bubbico, allora viceministro dell'Interno. Scoppia il putiferio perché Schettino fa il tifo per Tito («E' sempre a disposizione degli altri e della comunità» dice il capitano) e Bubbico si ritrova alla kermesse. Ma più che al simbolo. Tito pensa al rapporto umano che vanta con Schettino di cui prende sempre le difese: «Ha salvato molte vite». Alla fine la spunta al voto battendo per sole 106 preferenze l'ex vicesindaco della Margherita Antonella Viggiano. Insediatosi tra le lacrime di commozione, scommette su opere pubbliche e sortite ad effetto. Tanto da conferire la cittadinanza onoraria all'ex procuratore di Napoli Giandomenico Lepore e all'ex senatore Raffaele Lauro. Le fritture del Ramada. Tito conquista spazi nel Pd e passa in rassegna le truppe anche negli altri Comuni. Un lavoro che gli consegna la poltrona di consigliere metropolitano. Tant'è che è lui a guidare la spedizione della penisola sorrentina all'hotel Ramada di Napoli per il famoso summit con De Luca in cui il governatore esibisce tra «fritture e voto scambio». Frasi che Tito dice di non aver ascoltato, « perchè stavo fumando fuori». Un concetto ribadito anche alla Procura di Napoli che indaga su De Luca. Di inchiesta però ce n'è un'altra. E ben diversa quella sulle tangenti.

Nessun commento: