martedì 29 novembre 2022

Il Vesuvio nei versi latini

di Filomena Baratto

Il Vesuvio, prima della sua eruzione del 79 d.C., è stato quasi ignorato da un punto di vista scientifico, sebbene se ne parlasse già nell’opera di Strabone, Geografia, per ben due volte, descrivendo le eruzioni della montagna. Strabone ne evidenzia la natura vulcanica riuscendo a ricostruire le eruzioni del passato, che gli abitanti, molto probabilmente, non dovevano ricordare se continuavano a coltivare i versanti della montagna. Diodoro Siculo, nel I sec. a.C., collegava l’attività del vulcano a quella dei Campi Flegrei e all’Etna. Prima del 79 a.C. Seneca non fa alcun riferimento al Vesuvio nelle sue Naturales quaestiones e lo stesso Plinio il Vecchio, che fu testimone dell’eruzione, sottovalutò le informazioni geologiche di Diodoro Siculo. Nell’opera si riferisce solo al sito e alle coltivazioni. Vitruvio, al tempo di Augusto, nella sua De Architectura, aveva accennato a un passato del Vesuvio sconvolto dalle eruzioni. Ciò conferma che nel I secolo a.C. c’era la consapevolezza del pericolo. Compare, poi, in alcuni versi dello storico Sisenna, al tempo di Silla, con un accenno a un’indicazione topografica del vulcano. Un riferimento si trova anche nel VI libro del De Rerum Natura di Lucrezio in cui si legge il nome del Vesuvio. C’è poi la vicenda dei gladiatori guidati da Spartaco, nel 73 a. C., che, evasi da Capua, si rifugiarono alle falde del Vesuvio e si nascosero nella boscaglia, come ci riporta Velleio Patercolo nel I secolo d.C.


 

Secondo Floro, nel II sec d.C., i gladiatori riportarono la loro prima vittoria sul Vesuvio contro il propretore Caio Clodio e lo ingannarono con l’aiuto di un ricco gioco di funi legate a molti alberi della boscaglia. In questo tratto si parla però solo di un sito geografico senza alcuna connessione al vulcano. Giunio Moderato Columella parla della possibilità di come rendere produttivo un campo nel suo trattato De Agricultura, opera in prosa e in versi. Spiega, in esso, le differenze tra le uve e i vari vini, menzionando il vitigno dell’uva Aminea, di cui ricche piantagioni si trovano in Campania: “Ce ne sono poi altre due gemelle che prendono nome dal fatto che producono uva a coppie e sono di un vino più austero, ma anch’esso di lunga durata. Di queste due, la più piccola è notissima a tutti, perché ricopre i famosissimi pendii del Vesuvio e di Sorrento in Campania, è rigogliosa fra i soffi estivi del Favonio, ma è danneggiata dall’Austro”. Columella aggiunge anche: “Stabia famosa per le sue fonti e i campi del Vesuvio, e la dotta Partenope bagnata dall’acqua del Sebeto e la dolce palude di Pompei vicino alle saline di Ercolano”. Plinio il Vecchio si collega a questi versi aggiungendo che oltre all’Aminea, si coltiva anche l’uva Numisiana e la Murgentina. Columella menziona poi le coltivazioni del Vesuvio quali broccoli, cavoli e cavolfiori, menzionando poi Stabia per le sue fonti. Con l’eruzione del 79 d. C, il Vesuvio è sinonimo di devastazione e rovina. In un epigramma di Marziale, dell’88 d.C. si legge: “Questo è il Vesuvio verde, poco fa di ombrosi pampini, qui un’eccellente uva aveva riempito gli umili tini”. Valerio Flacco, dieci anni dopo l’eruzione, raccontava nelle Argonautiche: “Se la guerra è una catastrofe paragonabile all’eruzione, anche per il vulcano è possibile un confronto: esso è una belva, il cui minaccioso grido basta già da solo a incutere terrore in chi lo ode nell’oscurità della notte”. Nel IV libro delle Argonautiche si paragonano le Arpie, che sono orribili mostri, alla tormenta di fuoco che seppellì le città alle falde del Vesuvio. Per l’autore l’eruzione è la massima atrocità. Anche negli ultimi libri dei Punica di Silio Italico si ha un ampio riferimento al Vesuvio: “Così quando /vinto il Vesuvio dalla forza occulta/ ch’entro lo rode, alfin vomita il foco/ per secoli pasciuto e su le terre/ lo diffonde e sul mare ampio, /le selve lanifere di Seri, o meraviglia!/ si fan bigie di cenere latina”. Nella tarda antichità il nolano Paolino accenna al Vesuvio nei suoi versi che trattano di alcuni miracoli ambientati intorno al vulcano. Diventa poi, il Vesuvio, argomento di storia antica. Nella Mosella di Ausonio vi è una descrizione paesaggistica, un’altra scientifica in Boezio, mentre Claudiano, ultimo dei poeti pagani, lo incolpa per i terremoti.

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