lunedì 28 novembre 2022

La polemica. Lo sgretolamento dei controlli urbanistici

Giuseppe Guida
di Giuseppe Guida da La Repubblica Napoli 

C'è un fattore che è dirimente nella gestione di un territorio, come quello della Regione Campania, dove il tasso di abusivismo edilizio, pur elevato, è oramai paradossalmente e controintuitivamente in calo: lo sgretolamento del sistema dei controlli sull'attività edilizia regolare e sulle procedure urbanistiche. Non si tratta solo della pluridenunciata assenza di controlli o della notoria scarsa efficacia delle pattuglie di vigili urbani, o dell'insabbiamento di pratiche edilizie i cui percorsi burocratici spesso, troppo spesso, si perdono nei polverosi faldoni degli oscuri archivi comunali e provinciali. Si tratta invece di un combinato disposto di norme nazionali, leggi regionali, regolamenti edilizi comunali, norme di attuazione dei piani regolatori e spesso anche dei piani di rischio idrogeologico che, messe tutte insieme in un'unica incomprensibile pastoia, consentono in buona parte del territorio di continuare a costruire, a realizzare volumi, ad aumentare i carichi urbanistici e i fattori di rischio.


 

Ovviamente la questione si pone soprattutto nelle aree idrogeologicamente fragili e in quelle sottoposte a tutela paesaggistica, perché nella logica distorta che vorrebbe il resto del territorio "ordinario" sottoposto a libera aggressione, sono quelli i luoghi sui quali, in genere, si concentra l'attenzione. In questo senso il caso di Ischia è esemplare. Si tratta di un territorio sottoposto ad un piano paesaggistico, a stringenti norme del piano per il rischio idrogeologico, a precise norme costruttive relative al rischio sismico, alle leggi che tutelano le coste e i corpi idrici. Eppure, nonostante ciò, è evidente a tutti quelli che la frequentano, che in quell'isola, alla pari di tante aree di pregio della regione, come la Penisola Sorrentina, la Costiera Amalfitana e le altre isole, l'attività edilizia è florida e la trasformazione del territorio è continua. Come mai accade ciò? Uno dei motivi è la maestria con cui tecnici, imprenditori edili e molti funzionari pubblici, tutti e tre spalleggiati da adeguati studi legali, interpretano con spregiudicatezza sopraffina le norme vigenti, riuscendo a realizzare e a fare realizzare costruzioni anche dove ciò non sarebbe possibile. Ad esempio, in area a rischio idrogeologico elevata o in zone di tutela paesaggistica, in genere non si possono costruire volumi, se però questo volume lo si scompone in vari pezzetti, ognuno con una sua piccola autorizzazione, e poi lo si rimonta, si ottiene un "volume a volume 0", regolarmente assentito, ma di fatto abusivo. Abusivo per il paesaggio, abusivo per la sicurezza, abusivo per l'etica pubblica. Si può, per esempio, chiedere un permesso per una tettoia di 100 metri quadrati, che in genere comune e Sovrintendenza senza farsi troppe domande rilasciano senza problemi, per poi tompagnarlo con vetrate "mobili" (aggettivo privo di significato in urbanistica), vetrate solide ed indistruttibili che oggi le norme nazionali hanno trasformato addirittura in "edilizia libera" e di fatto si ottiene un volume. Un volume usato per ampliare un'abitazione, realizzare una dépendance, una sala di un ristorante o altro. Un volume, evidentemente, della stessa tipologia di quelli vietati, ma che la libertà di "interpretazione" tecnico-amministrativa rende assentito, legale e legalmente utilizzabile come volume e non più abusivo (ecco il perché del calo del tasso di abusivismo in regione). E così per tutti i manufatti realizzati con normative studiate per aggirare le fastidiose norme idrogeologiche, paesaggistiche, urbanistiche, persino del codice della strada e financo del buon senso: box interrati, movimenti terra, terrazzamenti, strade "interpoderali", tetti termici e via cementificando ed impermeabilizzando il territorio. Il tutto reso soffuso e possibile da un generale senso di impunità che, nel migliore dei casi, prevede ammende ridicole e condanne figurative, che oramai fanno parte dei curriculum di funzionari a vari livelli. Se i disastri di Ischia devono servire a qualcosa, lo devono fare non invocando ulteriori norme di tutela di cartapesta, ma richiamando le macchine amministrative e della pubblica amministrazione a fare con senso di responsabilità il lavoro per cui sono pagate e rafforzare l'elemento centrale di una qualsiasi forma di governo, compreso il governo del territorio: il sistema dei controlli, ex ante ed ex post, che da fatto esornativo del compilare documenti, verbali, rapporti, si trasformi in un elemento efficace ed univoco di verifica che conduce a risultati tangibili e valutabili, sanando o demolendo quello che c'è da demolire. Si tratta di cose che sanno tutti quelli che hanno a che fare con le questioni relative all'edilizia, all'urbanistica e che sono adusi alle tecniche di furbizia vigenti in questi campi. Ma il tempo della tragedia non è il tempo ne della furbizia, ne quello di fare spallucce. È tempo di guardarsi in faccia e decidere di agire tutti nella stessa direzione. Da ora in poi. Oppure dalla prossima, inevitabile, tragedia.

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