lunedì 21 novembre 2022

Gli alberi

di Filomena Baratto

Gli alberi, i preziosi amici della nostra vita. Pur riscoprendo la nostra anima ecologica, ancora oggi, in tempi in cui il clima e l’ambiente sono il nostro precipuo interesse, manca un’attenzione più precisa e costante nei confronti degli alberi. Nella nostra zona, nel tempo, c’è stato uno scempio di noci, per esempio. Tra le motivazioni addotte quella di fare ombra ad altre coltivazioni oltre al pericolo in cui s’incorre nel tirare giù i frutti, ma anche l’inesperienza e la mancanza di volontà dei giovani d’intraprendere questo lavoro. Negli appezzamenti di terreno i noci sono sempre meno. Anche la figura di chi raccoglie le noci dall’albero è andata scomparendo. Il noce è diventato un albero da giardino o un ornamento nell’orto di casa senza alcuna pretesa. Mantenere un albero, curarlo, tirarne i frutti è un lavoro che non termina con la raccolta e impegna veramente tanto, allora si preferisce tenerli nell’incuria o tagliarli. Anche gli alberi da frutta non sempre sono curati con attenzione: talvolta i frutti o sono bacati per mancanza di concime o sono troppo concimati e senza sapore. Piantare un albero non basta, bisogna curare le sue fasi di crescita, partecipare ai tempi di potatura e concimazione, mantenere in ordine il terreno in cui cresce, badare all’esposizione, soprattutto in luoghi come i nostri, fatti di campi a terrazzamenti. E se per un verso abbiamo un bisogno vitale degli alberi, non si spiega poi come, affacciandoci da una qualsiasi altura a guardare giù, scorgiamo ampie aree disboscate, proprio laddove prima ce n’era una folta schiera. Un albero non si taglia mai, così per capriccio o necessità di legna. Anche il Faito è sempre più spoglio. Una volta, salendo per la strada di Moiano, si vedeva una coperta verde sui versanti che oggi non c’è più. Appare una montagna nuda. Ricordo i cespugli ricchi e folti, i vari tipi di alberi e cosa non da sottovalutare si sentiva il profumo diverso da un albero all’altro. Una quercia profuma diversamente da un faggio, un castagno da un platano. A volte si potrebbe andare a naso per riconoscere un albero.


 

Un bambino che non annusa un albero quale memoria avrà di poter riconoscerne uno o avere il desiderio di coltivarlo. Chi non ha nelle narici l’odore di resina o di ghianda o di pino non sa cosa sia un albero. I sensi sono il nostro timone mentale, ricordando, amiamo ed evitiamo anche gli scempi. Ogni albero ha una storia. Ci sono quelli di casa nostra e quello centenario del Faito, quello nel parco in cui abitiamo di cui non abbiamo fatto nemmeno caso. Forse avrà un nido, o qualche radice marcia, o frutti che nessuno prende e si perdono al suolo. Ci sono gli alberi della nostra infanzia, testimoni di un incontro, di un evento. Dobbiamo imparare a guardare gli alberi così come si fa con le persone. Spesso vivono nella nostra indifferenza. Sarà passato, sotto i nostri occhi, un limone o un pesco privo di frutti nel nostro condominio o un albero che per anni ne ha dati troppo e tutto a un tratto smette, senza che nemmeno ce ne accorgiamo. Una volta da ragazza, nel cortile del condominio dove abitavo, c’erano un arancio e un limone. I frutti erano piccoli e noi ragazzi quando scendevamo giù a giocare, finivamo per mangiare qualche arancia, quando non le lanciavamo addosso. Prima ancora del ricordo, conservo il profumo, esattamente di quell’arancio, del tutto diverso dal profumo di altri aranci. Curare una pianta è come prendersi cura di se stessi. Nel mio viale c’è un ulivo, una volta era un bonsai. Poi un giorno, accorgendomi che non metteva nemmeno una piccolissima foglia, l’ho tirato dal vaso e ho scoperto che ai bonsai bloccano la crescita delle radici, attorcigliandole con un ferro per atrofizzarle e impedirne la crescita. Così, liberandolo del fil di ferro, l’ho piantato in un grande vaso nel viale. Come per magia è diventato un albero di due metri, nell’ampio vaso davanti al balcone di cucina. Di mattina, quando prendo il caffè, apro e lo osservo. Mi rendo conto se è stato potato bene, se c’è qualche sofferenza, come va potato di nuovo e come risponde il terreno. Sembrano sciocchezze, ma l’alberello di 20 centimetri è diventato grande con foglie argentee e lucide. Adesso aspetto che fornisca i frutti e, per la bellezza di questa scoperta, mi viene voglia di piantare anche altri alberi nei vasi.

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