giovedì 3 gennaio 2013

Primarie, il peso degli apparati

Fonte: Paolo Frascani La Repubblica Napoli 

Le problematiche vicende della politica in questo difficile momento storico, viste da Napoli, diventano repliche, in tono minore, di una compagnia dialettale che si mette alla prova del teatro in lingua recitando in maniera incerta e improvvisata. È il caso della scelta di poggiare il neonato partito degli Arancioni sulle fondamenta dell' esperimento de Magistris o degli esiti delle primarie del Pd; una prova di mirabile apertura democratica, unica nel panorama politico italiano, che tramuta, però, l' esercizio delle cariche locali o quella di membro dell' assemblea regionale in titoli valevoli per l' elezione al Parlamento nazionale. Indette per rinnovare metodi e ridimensionare nomenclature, le primarie hanno fatto registrare una buona affluenza ma non sono riuscite a sottrarsi al peso degli apparati aprendosi all' esterno e, soprattutto, abbinando l' offerta di candidature alla verifica di capacità adeguate alla partita in gioco. Fatto salvi quanti, (pochi), hanno dato buona prova nella precedente legislatura, sono scarse le dichiarazioni di intenti sul contributo da offrire alla soluzione dei problemi della nostra regione. Partiamo dalla recessione in atto. Le cifre sui suoi effetti parlano chiaro: la Campania perde oltre 300.000 posti di lavoro e circa 15.000 imprese hanno chiuso i battenti. Sui rimedi non c' è un' opinione condivisa; lo schema, siglato da Pd e Sel, è un contenitore da riempire con specifici contenuti in accordo o dissenso con quanto, a riguardo, viene proposto dall' agenda Monti.

In tal senso serve una buona padronanza dei meccanismi di bilancio ed una minuziosa conoscenza dei contesti locali per rendere le proposte dei progressisti decisive sulla scala locale. Si tratta di risolvere vertenze, delocalizzare impianti, defiscalizzare oneri di impresa, mentre si dovranno studiare soluzioni per ammortizzare la contrazione di una spesa pubblica che, in Campania, potrà avere dolorose ricadute sociali. Anche l' attuale geografia istituzionale non potrà restare immutata. Spetta ai futuri eletti il compito di realizzare l' accorpamento, per ora sfumato, delle Province e, soprattutto, di farsi carico, come mediatori super partes, delle resistenze che, proprio dal tessuto delle amministrazioni locali, continuano ad ostacolare l' avvio della costruzione della città metropolitana. E si può continuare con l' elenco di tutti i nodi dell' agenda Campania che attendono di essere sciolti: da Scampia, alla bonifica del territorio, dalla condizione di scuola e università alla crisi dei servizi sanitari, se non convenisse alzare il tiro per ricordare che, da molto tempo ormai, i parlamentari meridionali non rivendicano un rapporto paritetico con i vertici nazionali del partito. Pur offrendo un decisivo supporto, in termini di consensi elettorali, mancano di esercitare una leadership capace di parlare, per prestigio e competenza, al paese intero in nome di un Mezzogiorno che non può chiedere solo provvidenze ma deve dire la sua sul modo di rilanciare la crescita a Genova e in Sardegna, oltre che a Taranto e a Pomigliano. La stessa questione, attualmente controversa, del ruolo dell' Italia nel sistema comunitario, merita di essere seguita ai massimi livelli della scala politica. Si colora per noi di un significato che va oltre il silenzio o il retorico richiamo alla collocazione mediterranea per investire, più profondamente, la cultura del cambiamento istituzionale e la stessa qualità della formazione della classe dirigente. Le relazioni con Bruxelles, anche nella attuale fase di stanca, non si misurano sull' intensità della presenza degli europarlamentari meridionali nelle sedi comunitarie, ma vanno valutate sulla crescente capacità dei giovani di impadronirsi dei linguaggi e delle tecniche che ci mettono in sintonia, per gestire fondi e produrre, con le stesse regole ed opportunità offerte agli altri cittadini europei. Un approdo sostanziale all' Europa che prescinde dalle attuali politiche matrigne dell' Unione; da coltivare e sostenere, anche a livello parlamentare, contro ogni irresponsabile ventata antieuropeistica, sia di destra che di sinistra. Ma anche un' ulteriore prova della complessità delle questioni in campo e dell' inadeguatezza delle scelte effettuate per selezionare una classe dirigente in grado di risolverle. Si è parlato, perciò, di estromissione della società civile e di rinuncia a meritevoli competenze accademiche. L' accusa non centra il bersaglio. La cosiddetta "società civile", da tempo ridotta ad autoreferenziale megafono di rendite di posizioni cultural accademiche, per lo più umanistiche, conserva in sé la memoria di uno stile civico che rischia di estinguersi. Non sa dar più voce, però, come la "politica" che spesso le si contrappone, alle energie vitali del mondo del lavoro, delle professioni e dell' impresa, spesso disperse fuori dal territorio regionale, né sa ascoltare il lamento dei giovani in cerca di guide e punti i riferimento, mettendone in evidenza capacità ed aspirazioni. Sono questi gli attori che bisogna avviare alle "scene", senza tirocini nelle vecchie compagnie di giro (quota "Bindi" o quota "Franceschini"?), né carriere, pur onorevoli, nell' ordinamento giudiziario,

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