venerdì 23 ottobre 2020

Vita da bar

di Filomena Baratto

Qualche giorno fa mi sono fermata in un bar sul lungomare. Con me un tablet e un quaderno. Non sono avvezza a girare per la città, né a prendere il caffè al bar. Avevo solo bisogno di quattro passi in preda al l’ansia di un nuovo confinamento a casa. Dalla vetrata del bar, subito mi sono immersa tra le palme e i passanti del lungomare. Per strada poca gente, oltre, una visuale sgombra e chiara, con il sole che creava bagliori fosforescenti. Il bar non è il luogo più adatto a scrivere: gente che entra ed esce, rumori, voci, registratore di cassa. Non è il massimo per tranquillità e concentrazione ma un modo piacevole di aprirsi alla giornata. Lì, davanti alla mia tazza fumante, con una strepitosa prospettiva oltre la vetrata, le idee che cominciano a fermentare, mi sono sentita a mio agio. Sorseggiavo e pensavo ai caffè della nostra vita: a quelli che ci hanno tirato su, altri che ci hanno impedito di pensare, alle pause che ci hanno regalo, le chiacchiere e confidenze in sua compagnia, una sorta di forza che allevia ogni fatica. Sobbalzo ad ogni caffè che scorre sul bancone, agli scontrini e alle monete che volano alla cassa. Mi distraggo a guardare i baristi, così sorridenti di buon mattino, che sbrigano fischiando, canterellando, sempre con parole gentili in bocca, magari restassero così fino a sera! Difficile anche non naufragar nel mare delle cassatine e prussiane che dalla vetrina mi invitano come un incantatore di serpenti. Un profumo di babà mi stordisce, ma non mi lascio sedurre. In due minuti metterei un bel po’ di calorie senza aver saziato la mia voglia di dolce. Scrivere, a questo punto, sembra una missione ardua.

 

La soluzione è scegliere un punto fuori cui guardare, allontanando da me ogni tentazione e frastuono di tazze e cucchiaini, tenendo lontano dagli occhi fragranti cornetti e sfogliatelle frolle e ricce. Ci provo, ma non riesco a liberarmi dei profumi. Poi mi è parso di farcela puntando al costone di Faito e da lì all’orizzonte. Quando ero bambina, l’altro lato del mare per me era l’America. Da qualsiasi punto guardassi, dicevo: “Ecco l’America”. Era stato mio padre a farmelo credere, quando una volta accompagnammo al porto di Napoli una sua zia che partiva per il continente. Al ritorno, dalle parti di Pozzano, gli chiesi cosa ci fosse là, oltre il mare, dove c’erano quelle infinite luci fioche, intense, grandi e piccole. E sebbene si ergesse il Vesuvio, mi rispose l’America. Ricordo com’ero felice di aver fatto quella scoperta: scrutare il Nuovo Continente al di là del Golfo, proprio come Ciaula quando scopre la luna nella novella di Pirandello. Intanto le idee per una storia sono arrivate. Riesco a delineare i protagonisti e la trama. Sorseggio, miro in lontananza e scrivo. Nel bar siamo rimasti in due ai tavoli, ora c’era più ordine e meno fragore. Un anziano signore mi distoglie con le sue espressioni dialettali molto colorite. Siede di fronte. Vedendomi scrivere, mi chiede scusa e si gira di spalle, a suo dire per non distrarmi. Gli dico che può restare dov’è, non dà alcun fastidio. Il caffè è finito e chiedo un tè. Osservandolo meglio, è un tipo interessante. Fa proprio il mio caso e decido di inserirlo nella storia. E mentre sono convinta di poter iniziare a scrivere, un pastore tedesco, proprio come Rex, fa in suo ingresso nel bar al seguito del padrone, raggiungendo subito la mia postazione. Il mio tavolino traballa con le tazze e i piattini come una scossa. E ancora mi strattona, portando il padrone a scusarsi. Rido, perchè Rex mi mancava proprio. Avevo anch’io un pastore che non è più tornato. Questo ricordo vuole che io lo inserisca accanto all’anziano signore. E vista la furia con cui si è presentato, non posso lasciarlo fuori. Rex si mette a cuccia accanto al padrone, un tipo parecchio accigliato, che in due secondi fagocita un cornetto come il lupo fece con Cappuccetto, trangugia un caffè e poi si rilassa. Ce ne vuole un altro per me, il vecchio di fronte va per un secondo bicchierino, mentre il burbero, un whisky. Appena rivedo il cameriere, gli chiedo anche un cornetto. Il passeggio si è fatto più fitto, le auto sono aumentate. La vita da bar è affascinante e intramontabile, con o senza confinamento a casa. Nessun altro luogo coccola con i suoi profumi, odori, aromi, ricordi, vita. Il bar è l’ambiente giusto per sentirsi insieme anche da soli ed è il posto per stare soli anche in mezzo agli altri. Uscirne è stato tirarmi fuori da un incantesimo. Intanto i tre personaggi sono entrati nella storia: il vecchio, il burbero e Rex. Al vecchio ho messo accanto il pastore tedesco e ho lasciato solo il burbero. A conti fatti la storia mi è costata: due caffè, un tè, un cornetto e un vassoio di dolci da portare a casa. Certo che la vita da bar costa, ma vuoi mettere? Emana un fascino e un’attrazione come nessun altro luogo sociale.

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