di Filomena Baratto
Nell’ultimo bollettino di guerra del femminicidio l’Italia con 106 omicidi dall’inizio dell’anno si colloca in una posizione di poco migliore rispetto agli altri paesi europei. Se contiamo gli omicidi negli ultimi quattro anni, 600 circa, la media è un femminicidio ogni due giorni. E per paradosso si muore di più nei cosiddetti paesi ad alto indice di felicità e vita comoda. Una classifica che fa rabbrividire, una guerra silenziosa, ma continua. In Inghilterra, dopo l’uccisione di Sarah Everard, il 3 marzo del 2021, in un parco a sud di Londra, per mano di un poliziotto fuori servizio, che alle 21.00 preleva la vittima e la porta in un bosco fuori città, dove la violenta e poi la uccide, c’è un punto di non ritorno. L’opinione pubblica inglese è rimasta scossa. Nel mondo la situazione non è migliore. In Giappone e Oceania abbiamo parametri che si possono sovrapporre a quelli europei, ma per tutta l’Asia, la Cina, gli omicidi sono all’ordine del giorno. Così anche in Africa, America latina col Brasile e in quella del nord col Messico. La violenza domestica è aumentata durante la pandemia, mentre una donna su tre subiva violenze prima della pandemia, dopo i casi sono aumentati del 20% durante il primo lockdown. Per femminicidio s’intende, secondo il vocabolario: “Qualsiasi forma di violenza esercitata sistematicamente sulle donne in nome di una sovrastruttura ideologica di matrice patriarcale, allo scopo di perpetuarne la subordinazione e di annientarne l'identità attraverso l'assoggettamento fisico o psicologico, fino alla schiavitù o alla morte”. In una buona parte dei casi tra autore e vittima esiste una relazione sentimentale.
Le donne muoiono nell’ambito familiare, proprio in quell’ambiente che dovrebbe proteggerle di più. L’arma prevalentemente utilizzata è un’arma da fuoco e subito dopo un’arma da taglio. Ciò che colpisce è l’accanimento dell’uomo sul corpo della vittima esanime, continuando a ferirla soprattutto al cranio, quando non decide di darla alle fiamme o sfregiarla ulteriormente. In quasi la metà dei casi presi in esame, è lo stesso autore del femminicidio a dare l’allarme. Le cause scatenanti sono: il basso livello d’istruzione, l’aver subito violenza da bambino, aver assistito a scene di violenza familiare, abuso di alcool, accettare la violenza come fatto culturale. La gelosia tra i motivi scatenanti. L’autore del femminicidio teme di perdere la propria autorità e il proprio dominio e pertanto esige il controllo sugli altri. C’è poi chi è incapace di concepire l’autonomia altrui, vista come una minaccia di abbandono e per questa ragione si trova in uno stato di dipendenza. Chi necessita un continuo rinforzo di autostima dall’esterno e si abbandona a reazioni d’ira in caso di critica. Il femminicidio è punito, come l’assassinio di un uomo, ai sensi dell’art. 575 del Codice Penale, con una pena non inferiore a ventuno anni di reclusione. A questi possono aggiungersi le aggravanti. Con l’adozione del Codice rosso sono state apportate delle modifiche: il provvedimento di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa. Si punisce l’induzione a contrarre matrimonio con violenza e la diffusione illecita d’ immagini o video sessualmente espliciti senza il consenso delle persone rappresentate, con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da euro 5.000 a euro 15.000. La pena è aumentata se i fatti sono commessi dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa. È inoltre aumentata da un terzo alla metà se i fatti sono commessi in danno di persona in condizione d’inferiorità fisica o psichica o in danno di una donna in stato di gravidanza. È punito poi chiunque cagiona ad alcuno lesione personale dalla quale derivano la deformazione o lo sfregio permanente del viso con la reclusione da otto a quattordici anni. L’uomo, più frequentemente della donna, non riesce a rassegnarsi alla perdita dell’oggetto d’amore, lo vive come la perdita di una proprietà e non di un affetto. Si pretende un dominio totale sull’oggetto d’amore. C’è poi chi avanza l’ipotesi che dietro gli incidenti domestici si nascondano veri e propri femminicidi, fatti passare per incidenti mortali domestici, rendendo ulteriormente invisibile il problema della violenza contro le donne. Nonostante i notevoli passi avanti, da quel lontano anno 1960/61, quando vigeva l’articolo 587 del Codice penale, dell’omicidio e lesione personale a causa d’onore”, soppiantato dalla sua abrogazione nel 1981 così anche il matrimonio riparatore, la donna muore oggi più di ieri, non solo in Italia, ma in tutto il mondo.
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