Regione Campania - Un attacco chiaro, esplicito al gruppo dirigente nazionale del Pd e la saldatura con le istanze che arrivano dal Nord a favore di un partito federalista. Insieme con l’impegno, che fino a qualche settimana fa non era affatto scontato, a rimanere in consiglio regionale: Vincenzo De Luca ha riflettuto a lungo sulla strategia da adottare dopo le elezioni. Giovedì nella sua prima uscita pubblica a Salerno ha delineato le linee della sua strategia. Tornando ieri ad affondare i colpi nella sua rubrica sulla locale LiraTv. All’orizzonte c’è l’assemblea nazionale del Pd del 22 e 23 maggio in cui si proporranno modifiche statutarie al partito. Alle spalle un mancato riconoscimento che il sindaco di Salerno riteneva di aver meritato dopo la battaglia per le elezioni in Campania, magari con un incarico di responsabile nazionale per il Mezzogiorno. In questo quadro si inserisce la critica feroce al gruppo dirigente nazionale di giovedì. «Il partito non riesce a parlare alla società civile - ha detto De Luca - per colpa di una classe dirigente che non conta niente, che al 90% è inutile, priva di radicamento, straconsumata nelle sua immagine che parla una lingua inascoltabile». E se parlando della «cricca» di Anemone, la denuncia del capo dell’opposizione in Campania «via tutti quelli che hanno avuto privilegi sulle case a qualsiasi titolo» ricorda la vicenda di D’Alema delle case in fitto a Roma a equo canone in zone di prestigio riemersa di recente, il passaggio sulla necessità di una svolta programmatica «perché i ceti dinamici, il mondo dell’artigianato e del commercio, i piccoli imprenditori ci vedono come un corpo estraneo se non come una formazione nemica. Senza parlare dell’idiozia della liberalizzazione delle tariffe professionali che significa non capire il lavoro autonomo», prende di mira direttamente Pierluigi Bersani, che firmò il decreto sull’abolizione dei minimi tabellari delle libere professioni da ministro del Governo Prodi. Altrettanto esplicito è De Luca sul collegamento con Sergio Chiamparino («a Salerno come a Torino deve valere chi suda il sangue per prendere i voti, non saremo più noi a chiedere a Roma, ma Roma a chiedere a noi senza interferenze») sul modello di partito federale. Che significa che in Campania si decide sulla Campania: dalla gestione economica con l’autonomia finanziaria alle scelte per il Parlamento, dopo che alle ultime politiche vennero paracadutati in regione tanti che con la Campania non avevano nulla a che fare, fino alla fine delle «quote» per le correnti nazionali con il numero prefissato di deputati per area Bersani, Bindi, Franceschini e Letta. Dunque nessuna uscita dal Pd, per De Luca, e probabilmente nessuna uscita dalla Regione. Subito dopo le elezioni il sindaco era tentato di protrarre l’iter burocratico per l’incompatibilità fino a dicembre per poi ricandidarsi a Salerno lasciando Palazzo Santa Lucia. Giovedì ha ribadito: «Ho un vincolo morale verso la gente di piazza Plebiscito, quei 100mila, una comunità che ha deciso di non vendersi. E poi abbiamo vinto in tre capoluoghi, quasi pareggiato a Napoli e anche a Caserta otteniamo il 45% dei voti. Faremo in modo che quello slancio, quella passione politica non vadano perduti». Più chiaro di così. (Fulvio Scarlata il Mattino)
1 commento:
E chi può dire di riconoscersi nel nulla dell'autoreferenzialità.
Dal più grande partito di sinistra il buon Walter ci ha trasformati nello zero assoluto.
Adesso azzererà anche Vendola, ultima risorsa della sinistra.
Nichiiiiii!!! Fuitenn...
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