venerdì 21 luglio 2017

Diario di un backstage

Umberto Astarita
di Filomena Baratto

Vico Equense - Chi cerca Umberto Astarita deve mettersi in fila: un maestro della fotografia è sempre irreperibile. Per chi non lo conoscesse ancora, cosa alquanto rara, è un fotografo speciale, anzi un artista della penisola sorrentina. Dovevamo incontrarci per diversi motivi e dopo accordi presi in settimana, stamattina era il giorno previsto. L’incontro prevedeva anche qualche foto. Ho impiegato “appena” un’ora e mezza, a causa del traffico, per raggiungerlo allo studio, ma ovviamente le foto si fanno all’esterno e, dopo averlo atteso per un po’, visto che era impegnato fuori, finalmente ci siamo diretti per la villa. Umberto è un omaccione alto e grosso con capelli folti, la cui presenza, da sola, riempie lo spazio con la mole e il suo modo di fare: la sua curiosità e il suo interesse su tutto. Dà anche un senso di tranquillità, un animo bambino in un fisico enorme. Ispira fiducia, ha lo sguardo dei piccoli e come ogni artista, da sognatore. Non si rende conto che cammina sempre stringendo la sua macchina fotografica tra le mani e anche quando è riposta nella custodia, assume la stessa posizione. Proprio come i bambini fa sempre tante domande, ha sempre voglia di imparare, si meraviglia della cattiveria della gente e mostra una grande sensibilità. Non solo un fotografo, anche un pittore, uno spirito artistico con cui investe tutto quello che si ferma sotto i suoi occhi. Un rapido sguardo e sa come mettere in risalto un angolo, un viso, un’espressione. E’ in continuo movimento, si sposta come un acrobata, cerca, fruga col fiuto di un segugio. Fare foto con lui è un gran divertimento: ti insegna tante cose, ti racconta i piccoli segreti del suo lavoro, ti parla della luce e dell’ombra, cosa non devi mai fare e come devi muoverti, così come accade per i generosi di natura e lui lo è, professionista di massimo livello. Arrivare all’Hotel è stato uno scherzo: quando passa tutti gli aprono le porte. Chi non lo conosce! Pur avendo un trattamento da grande ospite, colpisce la sua gentilezza, l’educazione con cui entra, chiede, senza prevaricare, né pensando che gli sia dovuto. E’ come un passepartout, tutti ci fanno passare, e si va a destinazione senza stress.


La location è di incanto: Hotel Bellevue Syrene. Appena entrati sembravamo la vecchia pubblicità Folonari: lui avanti e io lo seguivo e ridevo. Intanto continuavo a ridere nel vedere tutti gli occhi puntati addosso, soprattutto gli ospiti dell’Hotel. Gli stranieri osservavano e lui concentrato scrutava a destra e a manca, le posizioni e i vari angoli da riprendere, da dove entrava la luce, i colori del mio vestito. In questa fase è concentratissimo, se gli parli non ti ascolta: sposta sedie, osserva da quale angolazione deve riprendere, si rende conto se qualche ciocca ribelle o un lembo di gonna sono fuori posto. Mi scatta una foto a tavolino con dietro una finestra primo novecento. Poi raccolgo i libri intorno a me e mentre mi sistemo già mi sta riprendendo rubandomi dei primi piani. Continua così a parlarmi come girarmi, cosa fare, come prendere il libro. Intanto abbiamo bloccato i turisti in uscita che continuano a guardarci, io divertita di stare col maestro e del fatto che nessuno osa contestarlo. Anche gli ospiti sembrano conoscerlo di riflesso. Dopo con occhiali, libri e borsa al seguito mi sposto davanti a una colonna, una delle tante che regge un pergolato in ferro battuto ricoperto di piante. Lì partono altri scatti. Finalmente ci dirigiamo in terrazza. Lì il massimo dello spettacolo. Il metré Manlio ci racconta dei fili neri che tessono la ringhiera della terrazza per evitare che i piccioni arrivino sui tavoli a rubare il cibo dai piatti. La vista qui è superba e più che nelle foto mi perdo nello spettacolo. In venti minuti si esaurisce il nostro incontro e ripartiamo, un po’ a malincuore da parte mia per tutta quella bellezza che lasciavo. Appena ripone le macchine, qualcuno gli telefona e gli dà appuntamento di lì a poco. Dopo i saluti riparto veloce per guadagnare il tempo che ho perso all’andata, ma sulla strada del ritorno avverto un vuoto: non si parla, nessuno fa domande, nessuno fa riferimento alla pittura, alle foto appena fatte, ai paesaggi, agli scatti, a come riprendermi…Insomma ti accorgi che Umberto Astarita è una valanga pur nel suo silenzio, nella sua educazione, nel suo incedere lento, nello sguardo di chi va in profondità e la foto è solo un pretesto per leggere chi gli si pone davanti. E’ così saturo di immagini che va alla ricerca di qualcosa che non si vede. Quando tra qualche giorno mi darà le foto, mi spiegherà non le immagini, ma quello che ha visto, come se fosse uno psicologo più che un fotografo. Forse per questo l’immagine è così in voga oggi: andiamo tutti alla ricerca delle emozioni di quegli attimi di scatto. I fotografi sono una sorta di ladri dell’animo umano sotto le mentite spoglie di esperti della bellezza. L’essenza pura dell’essere è incolore, informe, ma si sente. Umberto sa dirti della malinconia, della gioia, della noia, della tristezza che legge sui volti. E’ strabiliante come capisca a fondo le persone trincerandosi dietro la macchina. Lui è un cercatore di uomini, proprio come Pietro l’apostolo e le immagini sono solo una continua ricerca dell’altro, in quegli scatti a raffica, uno dopo l’altro a cercare l’attimo migliore, ma allo stesso tempo un’introspezione per capire se stesso. La mia riflessione è nata proprio da quest’ultima considerazione.

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