Il romanzo di Raffaele Lauro, “Dance The Love - Una Stella a Vico Equense”, sarà presentato, in anteprima nazionale, mercoledì 27 luglio, alle ore 19.30, sul Sagrato della Chiesa della Santissima Annunziata
di Giuseppe d'Esposito
Vico Equense - Ad una prima lettura delle bozze di stampa del nuovo romanzo di Raffaele Lauro, “Dance The Love - Una stella a Vico Equense”, terzo ed ultimo de “La Trilogia Sorrentina”, si pone l’interrogativo se la protagonista dell’opera sia la grande danzatrice russa Violetta Elvin, nata Prokhorova e vedova di Fernando Savarese, oppure la nostra meravigliosa cittadina, che, unica al mondo, raccoglie, in uno spazio limitato, alcune tra le più belle espressioni naturalistiche: dall’alta montagna alla collina, dal piano al mare. Unica al mondo, appunto! Poi, a ben riflettere, si capisce il “gioco” del narratore, il quale utilizza, abilmente, i sentimenti, le emozioni e le impressioni della celebre artista, di fronte al fascino dei luoghi visitati, per indurre il lettore a cogliere la “magia” della terra vicana, della nostra terra. Operazione non priva di suggestioni, perché animata dalla volontà dichiarata di Lauro di celebrare le origini vicane dei suoi nonni materni. Per anticipare ai nostri lettori le location, dove più evidente si realizza la simbiosi tra la donna e l'ambiente circostante, ho posto alcune domande allo scrittore, che ringrazio per la disponibilità. Ci può ricordare quando donna Violetta è arrivata, per la prima volta, a Vico Equense? Violetta Elvin è arrivata a Vico Equense, per la prima volta, nel 1951, nel pieno del suo successo artistico, per un breve periodo di riposo. Una decina di giorni. Alloggiò all’Hôtel Aequa ed esplorò Vico Equense, dalla cima del Faito alla Marina d’Aequa, innamorandosi della terra vicana, nella quale, poi, ritornò, dopo l’abbandono della danza, per amore di Fernando Savarese, risiedendo a Palazzo Savarese, Villa Maria, sul Corso Filangieri. Nessuno, a Vico Equense, si rese conto della presenza di quella stella della danza internazionale, prima ballerina della prestigiosa compagnia del Royal Ballet di Londra. Unico, a rendersene conto, dopo una iniziale frequentazione, fu proprio il giovane Fernando Savarese.
Quale fu il primo impatto di donna Violetta con Vico Equense? Fu un colpo di fulmine, con un inizio compassionevole. Non avrebbe mai immaginato, allora, Violetta Elvin, che Vico Equense sarebbe diventato il luogo definitivo, in cui avrebbe trascorso il resto della sua esistenza, dopo l’abbandono della danza. Intravide piazza Umberto I e la fontana, molto diverse da quelle attuali, dal finestrino del pullman, che si fermò proprio sulla piazza. Scese per prima, molto impaziente di scoprire il posto che le era stato consigliato da un’agenzia di viaggi londinese per una vacanza non estiva: una vacanza di riposo, di relax, in una località amena del Sud d’Italia. Donna Violetta ricorda ancora oggi, con affetto, alcuni ragazzini e tre donne, che le si avvicinarono, quasi con timore, per chiederle l’elemosina. La guerra era terminata da sei anni, ma l’indigenza era ancora tanta, per cui qualunque straniero arrivasse a Vico Equense, rappresentava una possibile risorsa, seppure di pochi spiccioli. Donna Violetta mi ha confessato di non aver mai dimenticato quei volti sofferti. Ho letto che donna Violetta fu molto attratta subito dalle nostre montagne: il Monte Faito e il Monte Comune. Esattamente. Insieme con le persone che erano con lei, Violetta si dedicò subito a due importanti escursioni in montagna: la prima sul Monte Faito, a 1.131 metri di altezza, la seconda sul Monte Comune, a 642 metri di altezza. Il gruppo fu accompagnato da un anziano autista dell’Hôtel Aequa, dove alloggiava, con una sgangherata automobile anteguerra, che sembrava dovesse perdere pezzi ad ogni curva, fin dove la strada rotabile lo consentiva. L’ascesa alla cima del Faito e al belvedere, dal quale il gruppo avrebbe goduto di un panorama mozzafiato, indimenticabile, non fu agevole, né sollecita, ma, poi, si immerse nella ricca e verdeggiante flora del Faito. Era tutto un succedersi di agrifogli, nel sottobosco della faggeta, di conifere, di pini, di abeti e di cipressi, quasi tutti impiantati dall’uomo, di castagneti, ambìti dalle popolazioni per la raccolta delle preziose castagne, farina dei poveri, di boschi misti, con altri sottoboschi, popolati prevalentemente di felci, di ontàno e di roverella, nonché dell’onnipresente macchia mediterranea, dove trionfavano il mirto, il lentisco, il corbezzolo, il tino, il leccio, il carrubo, l’alloro (il lauro), l’erica arborea, il cisto, il rosmarino e la ginestra. Violetta rimase affascinata e completamente rapita dal cangiare continuo delle prospettive del golfo di Napoli e di quel mare, che, da sopra quei mille metri di altezza, sembrava congiunto al cielo. Ho molto apprezzato la scena sul Monte Comune, così realistica e spirituale insieme, da avermi coinvolto anche emotivamente. L’episodio di Violetta sul Monte Comune è il cuore misterico del romanzo. Non fu un caso che volle rimanere sola, finalmente sola con se stessa, in mezzo a quel paradiso terrestre, per riempirsi gli occhi, la mente, il cuore e, persino, l’anima di quel miracolo della natura, di quella luce cangiante, di quella cascata di colline, ora verdi, ora brulle, che precipitava verso il basso, si articolava lungo la costa alta, si distendeva sul piano, si impennava sul crinale, fino a precipitare verso la Punta della Campanella, inabissandosi nel mare azzurro, per riemergere dalle acque, nel profilo controluce di Capri e dei Faraglioni. Lo sguardo di Violetta, in pochi minuti, ripercorse milioni di anni: il grande cratere di fuoco, il prevalere delle acque, il consolidarsi di quell’armonia, un’opera d’arte, che anche il più convinto agnostico avrebbe faticato a non definire divina. Da quel punto di osservazione del mondo Violetta colse l’epopea della vita, la nascita di Venere pagana, che emerge dalla spuma delle onde, e il destino dell’umanità. E fece le sue scelte di vita. Dopo le montagne, Violetta riuscì anche a visitare le frazioni, ma non tutte? Nel 1951, Violetta riuscì a visitare solo poche frazioni. Quando si trasferì definitivamente a Vico Equense, però, le percorse tutte, più volte, una dopo l’altra, borgo dopo borgo: la suggestiva Pietrapiana; l’antica Bonea, a ridosso del centro cittadino; Sant’Andrea, arroccata sui clivi del monte; San Salvatore, raccolta intorno alla chiesa; la placida Massaquano, piena di noceti; Patierno, rinomata per i molti caseifici; la stessa Monte Faito, verde e rocciosa; Moiano, dalle origini leggendarie; Santa Maria del Castello, sospesa sul crinale tra Vico Equense e Positano; Ticciano, ricca di uliveti e di frutteti; Preazzano, terra della celebrata melanzana; Arola, estesa e arroccata insieme; Alberi, la frazione-balcone, con la vista proiettata sulla costiera; Pacognano, vocata alla preghiera; Fornacelle, inventrice, a Natale, del presepe vivente; l’aristocratica Montechiaro, e, infine, più avanti, verso Sorrento, l’orgogliosa Seiano, piccolo “regno nel regno”, quasi un mondo a sé stante. Anche Marina d’Aequa sarebbe diventata una location amatissima da donna Violetta. Come la scoprì? Dal primo giorno di soggiorno a Vico Equense, Violetta aveva espresso il desiderio di voler immergere i piedi in quel mare incantevole, per lei irresistibile, che trascolorava dal verde al cilestrino, dall’azzurro al blu, fino al turchese. Il mare, per Violetta, fin dall’infanzia aveva assunto un significato magico, purificatorio, quasi catartico. Alle obiezioni degli amici replicava: “La temperatura primaverile non consente di fare il bagno, di nuotare, di esplorare qualche grotta misteriosa, da me intravista sotto l’alta costa, a sfioro sulla superficie delle acque? Bene! Ma almeno i miei piedi possono ben sfidare il freddo. Sono stata abituata ad altro freddo!”. Così, a piedi nudi, arrivata sulla spiaggia di Marina d’Aequa, Violetta cominciò a saltellare tra le piccole onde che si allungavano sulla battigia: rideva, canticchiava, come una bambina sfrenata nei movimenti. La spiaggia era deserta, ma chi avesse potuto vederla, avrebbe scambiato la donna per una matta. La leggera gonna di Violetta, pur tenuta sollevata con le mani, era ormai zuppa, i capelli scomposti. La donna, stremata, esausta, ma visibilmente felice, si accasciò, infine, sui piccoli ciottoli asciutti. Mai avrebbe immaginato che su quella spiaggia avrebbe trascorso, con Fernando, mattinate e serate bellissime. Infatti, Fernando e Violetta amavano fare il bagno di mare di prima mattina o, talvolta, al tramonto, quando la Marina d’Aequa era o tornava ad essere un’oasi di pace, tutta per loro, in compagnia soltanto dei gabbiani, dei bagnini che sistemavano gli ombrelloni o dei pescatori, che approdavano, sulla spiaggia, per portare il pescato, ancora impigliato nelle reti. Perché donna Violetta appare tanto legata alla Chiesa della Santissima Annunziata, che rappresenta non soltanto un’icona paesaggistica di Vico Equense, conosciuta in tutto il mondo, ma l'origine e il fondamento della fede religiosa del popolo vicano? Per quasi sessant’anni, ogni mattina, in ogni stagione dell'anno, donna Violetta, affacciandosi dalla terrazza di Palazzo Savarese, per respirare il profumo del mare, è stata quasi obbligata a rivolgere il suo sguardo alla Chiesa della Santissima Annunziata. Per tale ragione, per donna Violetta la Chiesa della Santissima Annunziata simboleggia, anche sul piano religioso, il suo legame più autentico con Vico Equense. Non dimentichiamo che questo tempio rappresenta un raro miracolo costruttivo, incastonato, come una gemma preziosa, nella roccia tufacea, divenuto il simbolo supremo della religiosità dei vicani e il locus sacer della memoria collettiva. Con questo romanzo tutti i vicani potranno scoprire chi è quella signora misteriosa, dal portamento elegante, che hanno ammirato, per decenni, veder passeggiare, al tramonto, anche quando piove, per le strade del nostro centro storico. Lo spero vivamente. Le giovani generazioni di vicani potranno scoprire una straordinaria storia d’amore, tra due persone, e tra queste due persone, Fernando e Violetta, con Vico Equense. Auspico che proprio i giovani, tramite questo esempio di amore, imparino ad amare il loro straordinario paese e a salvaguardarlo, nelle sue bellezze, dalle profanazioni, nei secoli dei secoli.
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