di Filomena Baratto
Una tela di grande interesse per me, incontrata al Museo del Prado, è “Le filatrici” o anche detta “La favola di Aracne” di Velasquez. Una tela alta 2 metri e 52 cm per 1 m e 67 del 1657. L’opera fu commissionata da Pedro de Arce, un nobile, guardia del Re. Nel 1744 la tela subisce un danno a Palazzo Reale, per cui oggi si trova al Museo del Prado. La favola, già nelle Georgiche di Virgilio, fu resa famosa da Ovidio nel VI libro delle Metamorfosi. Racconta di una giovane tessitrice della Lidia, abilissima, tanto da indurre gli altri a credere di aver appreso l’arte direttamente dalla dea Atena. La ragazza portava avanti la tesi che fosse la dea ad aver imparato l'arte da lei. Ciò procurò le ire di Atena che la volle sfidare. In gioco la tessitura di un'opera che contenesse gli amori degli dei e loro colpe. Aracne portò a termine il lavoro con grande maestria, attirandosi però l’avversione della dea, che distrusse l'opera e colpì la ragazza. Aracne, avvilita, voleva suicidarsi, ma la dea intervenne in tempo per trasformarla in un ragno e quindi lasciarla tessere a vita. L’orgoglio l’aveva talmente accecata da essere punita. In primo piano ci sono cinque filatrici tra cui spicca quella di destra ben illuminata, mentre sulla sinistra le si contrappone l'ultima accanto al drappo rosso.
La donna al centro, posta in ombra, sembra fare da ponte tra le due parti della composizione. Sul fondo un grande arazzo riproduce il "Ratto di Europa" di Tiziano. Velasquez moltiplica gli spazi e le azioni con scene realistiche e mitologiche. Successivamente si diede una nuova interpretazione alla tela, dove le due scene vogliono simboleggiare in primo piano un laboratorio di filatura, in secondo piano il mito di Aracne. Sul fondo la donna con l’elmo rappresenta la dea, ma la dea è posta anche in primo piano, al centro, mentre si abbassa nell'accarezzare un gatto soriano. Il laboratorio presenta con realismo ciò che accade all’interno di un luogo di lavoro femminile, in questo caso la tessitura, tra le arti più antiche. Ci sono, in primo piano, chiari elementi di femminilità, nonostante le filatrici trascorrano gran parte delle loro giornate chine a lavorare, come le gambe scoperte e piedi scalzi: della vecchia davanti al filatoio, così come la ragazza di destra e il piede della dea camuffata emergere dall’ombra centrale. Il lavoro è esaltato dalla ragazza di destra con la camicia bianca che attira tutta la luce della tela come un occhio di bue. Gli attrezzi e la scala, il disordine sul pavimento lasciano intendere i movimenti e la continuità del lavoro durante la giornata. La disposizione della massa sulla tela è ben proporzionata con tre punti focali che sono proprio: la filatrice a destra, la donna a sinistra, che apre il sipario come per invitare a entrare nella scena, e l’elemento prezioso dell’arazzo sul fondo in un duplice significato del lavoro svolto sulla tela. La scala a sinistra e il varco a destra da cui entra il buio, fungono da divisione per i due piani. Fino alla metà del '900 l'opera si intitolava“La fabbrica di arazzi di Santa Isabella di Madrid”, lasciando intendere per molto tempo che fosse solo una tela di genere. Ma a un’attenta analisi si percepisce che Velasquez ha posto in primo piano elementi secondari mentre sul fondo quelli primari. A questo bisogna aggiungere che, successivamente, alla tela sono stati aggiunti 50 centimetri nella parte superiore e 37 centimetri ai lati sfalsando lo spazio iniziale della tela e sminuendo così l’importanza della scena sullo sfondo, mostrandola più lontana e reputandola solo una semplice scena secondaria, mentre tutto il motivo dell’opera è concentrato proprio lì. Davanti a tre damaschi di un arazzo si svolge la scena mitologica. Le protagoniste del mito: Atena e Aracne davanti alla tela oggetto di contesa tra le due. E proprio nell’arazzo, che si vuole tessuto da Aracne, c’è la mano di Tiziano, difatti riproduce il “Ratto di Europa” che Velasquez riporta sulla tela volendo conferire un confronto tra Tiziano e quello della dea stessa. Il dipinto fu a sua volta copiato da Rubens e, dal momento che Velasquez conosceva entrambe le versioni, ne volle aggiungere una terza inserendola nel suo dipinto. Sulla stessa tela troviamo quindi Tiziano, Rubens e Velasquez. La donna con l'elmo è proprio la dea, mentre davanti alle due protagoniste ci sono tre donne che osservano la scena, di cui una di spalle. La scena in primo piano rivela il mondo semplice che Velasquez era abituato a ritrarre, opponendo sullo sfondo una scena allegorica da cui emerge il mito. Non è solo un semplice filare, un richiamo all'antica arte femminile, così come femminili e sensuali sono le donne, ma si sovrappone alla semplicità degli elementi un senso di umiltà che manca sia alla dea che alla giovane: la prima per non comprendere la fatica quotidiana per portare a termine un lavoro (da qui l'inserimento nel primo piano); la seconda per la presunzione di essere la migliore. Velasquez non dipinge, narra attraverso la pittura, che resta per lui uno strumento straordinario per raccontare la vita nella sua complessità, fatta di quotidianità e di pensieri profondi.
Nessun commento:
Posta un commento