di Alessandra Farro - Il Mattino
Il titolo - «Quarant'anni senza Giancarlo Siani» - è più che chiaro: il documentario andrà in onda su Raitre in prima serata il 23 settembre, nel quarantesimo anniversario dell'assassinio del giornalista de «Il Mattino». Lo firma Filippo Soldi, autore anche della sceneggiatura insieme con Pietro Perone, oggi caporedattore centrale del nostro quotidiano e all'epoca il cronista che con Giampaolo Longo, Maria Rosaria Carbone, coordinati da Pietro Gargano, ha portato avanti l'indagine giornalistica che ha condotto alla verità, parallelamente all'inchiesta ufficiale svolta dalla magistratura. Oltre alle testimonianze di colleghi giornalisti, inquirenti, amici e familiari, nella coproduzione Rai Documentari e Combo International, Toni Servillo presta corpo e voce a Siani e legge alcuni suoi articoli agli studenti del liceo napoletano che il giornalista ha frequentato, il Giovanbattista Vico. Soldi che cosa vi ha mossi nel realizzare il docufilm? «Volevamo raccontare la grandezza di un giovane cronista, la sua profonda umanità, il senso di giustizia con cui camminava nel mondo». Il racconto inizia con l'indagine sulla sua morte. «L'idea mia e di Perone era quella di ripartire idealmente da "Fortapàsc" di Marco Risi che si chiude con l'uccisione di Siani. Così, partiamo dagli anni di nebbia successivi all'assassinio fino all'inchiesta che ha portato a individuare killer e mandanti, confrontandoci con i magistrati che hanno portato avanti le indagini insieme alle ricerche dei giornalisti de "Il Mattino".
Tra gli elementi fondamentali che hanno spinto la camorra ad ucciderlo c'era proprio la personalità di Siani. Così Giancarlo è diventato una presenza costante durante tutto il processo creativo: oggi parlando di lui mi sembra di ricordare un vecchio amico. Lo vedevo riflesso negli occhi degli intervistati, nelle parole con cui lo descrivevano. Io non l'ho mai incontrato ma oggi mi sembra di conoscerlo. A pensarci, mi emoziono ancora». Di recente Perone ha anche pubblicato il libro «Giancarlo Siani. Terra nemica» (edizioni San Paolo) in cui racconta la ricerca della verità. «Il libro entra nei dettagli, ricostruisce una storia di 40 anni che nei tempi audiovisivi è impossibile raccontare interamente. Perone è dunque una delle persone più informate sui fatti ed è stato fondamentale per le ricerche. Ma abbiamo agito insieme su due binari paralleli: da un lato raccogliendo le testimonianze dei colleghi e conoscenti; dall'altro sentendo magistrati e commissari coinvolti nelle indagini. Man mano che andavamo avanti, ci rendevamo conto di quanto fosse necessario ricostruire anche il profilo umano di Siani e da lì, l'idea di sentire anche il fratello Paolo e l'ex compagna Chiara, con cui Giancarlo era stato 6 anni e a cui era ancora molto legato. Proprio il suo racconto ha dato un contributo enorme alla descrizione del suo profilo, insieme alla testimonianza di Vincenzo Sparagna, direttore di "Frigidaire", rivista controculturale con cui Siani ha collaborato». Poi c'è il racconto del suo quartiere, della sua scuola. «Sempre perseguendo lo stesso obiettivo, far emergere la persona, abbiamo deciso di mostrare anche un po' del passato di Giancarlo, raccontando il contesto dal quale proveniva, il Vomero, dove si è anche consumato il suo omicidio. Servillo è stato entusiasta di prendere parte al progetto abbracciando il nostro stesso intento, quello di parlare ai ragazzi. Le sue letture sono ferme, riflessive, emozionanti: ridanno a Giancarlo la voce che hanno spento». Attraverso la vostra ricostruzione cosa è emerso? Chi era Siani? «Siani era un giovane che credeva fortemente nella giustizia. Aveva una logica fin troppo cristallina, uno sguardo fin troppo limpido tanto da risultare inaccettabile in un mondo che non voleva (e spesso non vuole tutt'ora) nutrirsi né di logica né di trasparenza. Questi erano i suoi punti (coinvolgenti ed emozionanti) di forza e di debolezza. La purezza, in effetti, va in due direzioni: da un lato si trasforma in coraggio; dall'altro lascia emergere facilmente la fragilità. Lui è arrivato a conclusioni a cui nessuno, a quel tempo, era arrivato. Si è esposto e ha pagato cara la sua onestà. È un modello, soprattutto per questi tempi: mantenere logica e purezza migliorerebbe la vita di tutti».

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