domenica 29 ottobre 2017

Alla ricerca del pizzino perduto

di Filomena Baratto

Vico Equense - Il pizzino è un pezzetto di carta strappata su cui si scrivono poche cose: la spesa, un nome, un numero di telefono. E’ un pezzetto dalle forme più strane con i lati ondulati. Per noi è un semplice pezzetto di carta, ma per i mafiosi è uno strumento per comunicare con l’esterno. A Borsellino preannunciarono la morte così, Provenzano ne faceva largo uso. Anch’io ho avuto i miei, due episodi universitari indelebili nella mia mente. Il mio primo risale all’esame di Storia romana. Le cose andarono così. Dopo aver sostenuto l’esame con l’assistente, la professoressa mi chiese del corso monografico, che io non avevo portato. Mi avevano detto che con il nuovo professore non c’era il corso monografico. La professoressa strillò come mai avevo sentito, in un’aula magna stracolma di ragazzi bloccati a guardarci, in un silenzio imbarazzante. Quando finì il suo lungo sermone, di ricambio, le feci il mio. Più io parlavo più lei infieriva. Sosteneva che l’esame era da ripetere per il corso mancante, io invece ribattevo che era da completare, ovvero congelarlo fino al corso monografico avvenuto. Alla fine convenne che avrei dovuto sostenere di nuovo l’esame e si può immaginare il mio stato dopo aver preso ventotto. Allora concluse che avrei portato un corso monografico qualsiasi. Io le rispose che invece doveva dirmi lei che corso portare, visto come erano andate le cose. Allora strappò un pezzo di carta da un foglio tutto smerlato dicendomi: “E adesso non mi dica che glielo scrivo su un pizzino!”
 
Non le risposi, afferrai il pizzino e scesi dalla cattedra dell’aula magna. Appena vicino alla porta mi chiamò: “Signorina, signorina, l’ultimo capitolo non lo faccia!” Dopo un bel gesto che le feci in segno di andare a quel paese, andai via. Lo rifeci il mese successivo, col corso monografico richiesto. Fu lei a ricordarsi di me quando entrò in aula e col sorriso sulle labbra. Sembrava quasi contenta di aver sortito l’effetto voluto: esercitare il suo potere. Il secondo episodio capitato all’università è anche più grave. Questa volta ero all’ultimo esame prima della tesi: la seconda parte del quinto esame di latino. Ero per le scale subito dopo aver sostenuto Lingua e letteratura inglese, quando notai che nel libretto mancava il pizzino con su l’esito dell’esame di latino sostenuto. Andai in panico. Mi recai in segreteria dove mi rassicurarono dicendo che il professore aveva sicuramente registrato il tutto. Mi fiondai dal professore e dopo avergli detto che avevo perso il pizzino, mi rispose: “Be’ deve rifare l’esame!” “Cosaaaaaaaaaa????” ” Non è che vuole querelarmi anche lei? Sarebbe la seconda, stamattina! Lei non sa che è anticostituzionale dare un pizzino come segno di avvenuto esame?” “E allora perché non me lo ha detto allora che era anticostituzionale?” “ Chi vuole che farebbe ancora latino se non si dividesse l’esame in più parti per quanto è lungo? E poi non depone bene da parte sua, lei arrivata a questo punto è una professoressa e se già lo ha sostenuto, può rifarlo di nuovo. Anzi, se vuole può conferire adesso!” Potevo rifare un esame di latino su due piedi? Inutile controbattere. Per un pizzino perso dovevo sostenere di nuovo l’esame, ovviamente non più per metà, ma intero, per non incorrere nello stesso pericolo. Sostenni l’esame completo con grande meraviglia di tutti in un unico blocco. Mi chiedo come avrei potuto querelare il professore senza alcuna prova e col quale dovevo sostenere ancora un esame. Ma se avessi saputo a cosa sarei andata incontro, certamente non avrei suddiviso l’esame in due parti. Eppure quell’ episodio rafforzò in me l’idea di non mollare mai e feci l’esame completo in un mese e mezzo, fu per me un elisir indescrivibile. Non solo feci l’esame in tempo prendendo un ottimo voto, ma capii, con quella esperienza, che con la forza di volontà si alzano le montagne. Oggi ricordo gli episodi con il sorriso e piacevolmente compiaciuta. Quello che mi sembrò impossibile, ripetere un esame lungo, irto di difficoltà, si rivelò la più bella soddisfazione mai avuta. Ricordo che scendendo le scale, dopo l’esame, parlavo da sola, scandendo in metrica i versi di Virgilio a memoria. E continuai così fino a casa, incapace di pensare e non credendo di aver finito, più che gli esami, le avventure di quegli anni. Qualche giorno fa ho trovato un pezzettino di carta arrotolato nella tasca di un cappotto dismesso che avevo nell’armadio da “illo tempore” e finalmente è uscito il famoso pizzino perduto. Ormai illeggibile e scolorito, sembrava una foglia secca. Lo avevo messo in tasca per evitare che il professore di Lingua e letteratura inglese lo facesse cadere dal libretto. Ma ora non serve più. Un pizzino che contiene non un semplice messaggio ma la seduta di un esame. Mi ha riportato alla disperazione provata allora quando non lo trovai, ma anche al piacere di aver concluso senza perdere tempo o piangendomi addosso. Da allora ho bandito i pizzini, solo fogli interi, forse per paura di perderli.

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