mercoledì 31 gennaio 2018

«A novant`anni non mi arrendo la Dc rinascerà»

Ciriaco De Mita
De Mita: il Pd punta solo al potere, morirò democristiano

Fonte: Generoso Picone da Il Mattino

Un compleanno di battaglia, proprio come piace a lui. A lui, Ciriaco De Mita, «L'animale politico», dal titolo del film documentario che due giovani registi irpini, Carmine Caracciolo e Roberto Flammia, hanno voluto dedicargli e che sarà presentato in anteprima domenica alle 11 al Cinema Nuovo di Lioni per poi arrivare nelle sale il giorno dopo. Prima, venerdì 2, l'ex premier oggi sindaco di Nusco, festeggerà i suoi 90 anni e il racconto del protagonista, dall'infanzia a Nusco al passaggio a Milano, dalla formazione alla prima pratica politica, dal rapporto con i principali protagonisti degli accadimenti del presente, costituirà un'occasione importante di bilancio e verifica di un percorso che dal dopoguerra arriva a oggi con lo sguardo aperto sul domani, anche sul prossimo 4 marzo, su una competizione elettorale che lo vedrà ancora impegnatissimo e pronto. De Mita, allora si è messo a fare anche l'attore? «Macché, io non sono portato per queste cose. Però il film non è male, pure cinematograficamente, e i ragazzi sono stati bravi. Per me ha rappresentato una bella esperienza per ripensare la mia vita».


Che cosa vuol dire? «Che io non sono nato semplice, sono stato sempre molto problematico e in fondo mi sono convinto della validità di quella verità che mi consegnava mio nonno: bada a chi vuole far apparire semplice una cosa complessa, significa che non l'ha capita. Nella vita ho applicato questa massima costantemente ai miei comportamenti, dagli inizi della mia attività politica, quando a 16 anni tenni il mio primo comizio a Montella e l'avversario di allora, un comunista che chiamavano Nerone, mi avvertì che tanto dopo mi avrebbero bruciato. Giusto per comprendere il clima di quei tempi». Comunisti con cui poi avrebbe preso a dialogare. «Certo. Dopo il 1948 il primo fu Ruggero Gallico, segretario della Federazione comunista di Avellino dal 1948 al 1957, amico di Maurizio Valenzi. Compresi subito la diversità del Pci rispetto agli altri partiti rivoluzionari europei e immaginai immediatamente i coinvolgerli nella gestione della democrazia nel Paese. Il confronto tra chi ha visioni differenti arricchisce entrambi, fa scoprire aspetti nuovi, specie se è condotto con onestà intellettuale. Ricordo bene i contributi positivi che i comunisti davano in Parlamento durante i lavori delle commissioni, salvo poi rivendicare in aula i meriti dei risultati ottenuti. Ma faceva parte del gioco. Il Pci non è mai stato eversivo e ha avuto un ruolo importante nella tenuta democratica in Italia. Quando, dopo l'attentato, Giancarlo Pajetta comunicò a Palmiro Togliatti di aver occupato la Prefettura di Milano, lui gli rispose di rimando: Sì, e ora che ve ne fate?. C'era tutta la diversità di quel Pci nel suo sarcasmo». Lei lo aveva intuito? «Guardi, l'intuizione è una forza che consente di immaginare quello che prima non c'è, la conoscenza storica aiuta invece a comprendere quello che c'è stato». La sua forza intuitiva che cosa le fa prefigurare oggi? «Da un po' mi limito a un orizzonte più ridotto, impossibile misurarsi con i tempi lunghi». C'è un motivo? «Ma è un sistema che è finito e le parole della politica che ascolto sono pronunciate da gente che le usa senza senso. Prendiamo le liste che sono state presentate per le elezioni del 4 marzo: preparate da capipopolo sono in base al criterio dell'obbedienza. Non c'è capacità di pensiero. Senza pensiero, non può esserci nemmeno memoria. Senza memoria non c'è futuro». Vede davanti a sé una campagna elettorale di questo tipo: un tantino orribile? «Io sono impegnato nel recupero della memoria perché, andando in giro, ho scoperto con grande sorpresa che la storia della Dc veniva rivalutata in primis da molti ex comunisti. Del resto, non è una novità se pure Gorbaciov guardava al modello di partito democristiano italiano come a un riferimento». Gorbaciov? «Certo, Gorbaciov. Nella mia visita in Urss da presidente del Consiglio nell'ottobre del 1988 stabilii con lui un rapporto per niente protocollare ma molto amichevole e mi confessò che guardava con interesse alla nostra forma di partito. Gorbaciov amava l'Italia e la democrazia, puntava a inserire straordinari elementi di novità nel sistema sovietico e soprattutto era convinto che senza spiritualità non c'è l'uomo, la spiritualità ne è la vera sostanza. Poi l'Urss scelse Eltsin al posto suo e abbiamo visto come è andata». Anche con il Pci è andata in un certo modo. «È finita la cultura della sinistra, in Italia ha esaurito il suo ruolo lasciando un Pd che è una superstizione. Allora oggi è sempre più necessario riscoprire la cultura popolare come strumento di individuazione della difficoltà e risoluzione dei problemi. Per questo serve pensiero, perché la politica è pensiero». Lei ha lavorato alla ricostruzione di un polo popolare. «Il movimento a cui oggi partecipo nasce per voler essere la riscoperta del valore della Dc, lo considero un progetto di assoluta modernità. Mi auguro che questa iniziativa cresca, anche se non penso che il passaggio elettorale possa risolvere tutti i problemi». In questa competizione lei è alleato con il Pd. «Il Pd si è spaccato e si è iniziato a giocare soltanto per la conquista del potere. Con un fronte, quello dei grillini, che avanza limitandosi a riprodurre le difficoltà del Paese. Io oggi partecipo non perché scopro i valori del Pd, ma perché mi illudo che questa forza possa ancora concorrere a ricostruire le condizioni della democrazia possibile. Io vado avanti e al di là degli eventi seguo la mia memoria; sono nato democristiano e democristiano morirò».

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