martedì 27 giugno 2023

«Ho denunciato subito chi mi minacciava. Ora tutti più liberi»

di Marilicia Salvia da Il Mattino

«I tre camorristi che hanno minacciato me e i miei figli sono stati condannati. Abbiamo vinto la nostra sfida, ma questo è un punto di partenza, non di arrivo: la legalità è un valore che comincia a diffondersi, ora guai a fermarsi». Ilaria Abagnale, 42 anni, imprenditrice nel settore delle scuole guida, dal 2019 è sindaco di Sant'Antonio Abate: ieri era a Roma, alla mattinata di presentazione del Rapporto "Amministratori sotto tiro", nel corso della quale ha raccontato la sua esperienza. «Paura? Nella prima fase non nego che la preoccupazione c'è stata. Ma poi il coraggio ti scoppia in petto». Come vive un sindaco "sotto tiro"? «La preoccupazione era per la mia famiglia, ovvio. Abbiamo limitato al massimo gli spostamenti, siamo stati prudenti. Ma io ho denunciato subito, non ho avuto un attimo di esitazione: questo ha fatto la differenza». Perché? «Ho messo subito in chiaro da quale parte avevo scelto di stare. Gli estorsori hanno saputo immediatamente e con chiarezza che non avrei ceduto di un millimetro. Li ho denunciati, ho voluto che il Comune si costituisse parte civile nel processo. Loro gli aguzzini, noi le vittime». Cosa volevano?


«Condizionare gli appalti. Avevo chiesto durante una riunione con alcuni dipendenti comunali di riferirmi eventuali tentativi di infiltrazioni della camorra. La risposta è arrivata a stretto giro, quando Luigi Verdoliva, un trentenne boss emergente nei Lattari, in strada e davanti a diverse persone ha detto "il sindaco la smetta di fare il carabiniere, altrimenti può succedere qualcosa ai suoi figli"». E Verdoliva, finito a processo con due suoi giovanissimi complici, è stato condannato a 4 anni e due mesi: la sentenza l'ha tranquillizzata? «L'ho letta come l'occasione di riscatto della nostra identità di comunità libera. A Sant'Antonio Abate gli appalti si ottengono rispettando le regole: i tre imprenditori che avevano subìto il tentativo di estorsione, e che hanno denunciato i tre insieme a me, hanno combattuto per l'affermazione di questo principio». Si è mai sentita sola? «Sarebbe stato peggio se non avessi denunciato. I miei concittadini lo hanno capito, in grande maggioranza: mi sono stati vicino, mi hanno incoraggiato. E adesso andremo avanti su questa strada». Una strada sgombra da ostacoli? «Il cammino non è mai facile. Avrei voluto che più imprenditori avessero accolto il mio invito alla denuncia, per esempio: la battaglia del soggetto pubblico è importante ma lo è altrettanto quella dei privati. Su questo dobbiamo lavorare ancora, confido che ce la faremo. Anche perché dal primo momento oltre che con le forze dell'ordine e la magistratura ogni passo è stato condiviso con il Fai-Antiracket. Persone tenaci, attentissime. Quando ho testimoniato hanno riempito l'aula del Tribunale come un uovo, come fai ad avere paura così». Cosa ha detto al ministro dell'Interno Piantedosi, nell'incontro di Roma? «L'ho invitato a venire a Sant'Antonio Abate a settembre, in occasione di una iniziativa sulla legalità che stiamo organizzando, e che coinvolgerà soprattutto i giovani. Mi ha garantito che farà di tutto per esserci». A proposito di giovani, salta agli occhi che i "nuovi" camorristi, quelli che lei ha denunciato, hanno fra i 20 e i 30 anni. Cosa rende ancora attrattiva la criminalità nell'area dei Lattari? «Viviamo un eterno ritorno agli anni 80, quando i clan storici si combattevano per la droga, le armi, il racket. Usciti di galera quei vecchi boss, è ripartita la faida». Scenari vecchi, amministrazioni comunali nuove. «È un momento delicato. Arriveranno soldi per la rigenerazione urbana, per progetti di rilancio: è indispensabile tenere alta la guardia, lo Stato deve garantire una presenza più attiva». Si è mai detta: è troppo difficile, mollo tutto? «I momenti di scoramento ci sono. Ma tutto dipende dagli obiettivi che ci si pone. Il mio è contribuire al cambiamento culturale del territorio, è ciò che mi fa scoppiare il coraggio nel petto»

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