di Filomena Baratto
In una società abituata al consenso vige la legge del like, dell'approvazione a tutti i costi. E se non arriva, si prova a esagerare pur di acchiapparli. Quel pollice alto, i cuoricini, gli abbracci servono a dire poi quanto gradisci quel post, quell'affermazione, quello scritto o immagine, quell'autore. Ci sono bacheche dove abbondano. Se invece non piace basta non cliccare. Se un profilo non conta un bel po' di like molti lo relegano nel dimenticatoio. E per un like alcuni accendono il mondo, altri li esigono e li richiedono a costo di chiamare gli amici e, seduta stante, aspettano di vedere quel numero in più. Come se quel like cambiasse loro la vita. Oggi nessuno vuol essere contestato, e vanno bene anche i consensi fasulli. Molti cliccano senza leggere, altri perché in quel momento hanno bisogno di quella persona e il like è il modo per ingraziarsela. Sono sempre esistiti i lacchè e la claque di Dio. Solo pochi leggono e mettono like con consapevolezza. Quell'indice in giù è una condanna. Significa manifestare il proprio disappunto, diventare polemico agli occhi degli altri e scatenare anche un'interminabile questione. Il dissenso bisogna spiegarlo, motivarlo, altrimenti innesca un battibecco senza sosta. I social sono poi diventati il luogo di avversioni, opposizioni e polemiche e se a queste aggiungiamo i dislike mantenere la pazienza sarebbe impossibile. Il like ci salva da questa gogna. A volte, poi, qualcosa piace solo per un verso, ma parte il like che non spiega questa parzialità. I convinti sono pochi e non è detto che un post non possa piacere lo stesso anche senza. Il "non mi piace", invece, servirebbe a capire e forse a fornire maggiori elementi, a renderci più responsabili di quello che spesso diciamo anche con superficialità e sull'onda delle nostre emozioni. Servirebbe da contraltare, un'opposizione di cui tener conto.

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