di Filomena Baratto
Arrivo in anticipo: il treno parte alle ore 11.59. Vado subito ad accertarmi del treno sul display nella sala d’attesa. Temo possa esserci un ritardo per la scossa a Napoli. Infatti, passa la scritta che si sta monitorando la linea prima di riprendere. Dopo non posso assolutamente privarmi di “infornarmi” alla Feltrinelli col mio trolley leggero e la borsa a tracolla. Prima fermata allo scaffale Adelphi con i libri di Hang Kang. Mi soffermo su “L’ora di greco”, interessante. Leggo qua e là le alette di diversi libri. Poi mi inoltro nel reparto di storia. Molti quelli che mi interessano. Mezzo scaffale è preso dalla Russia, testi che sono mattoni. Se anche volessi, non posso gestire i loro pesi. Cerco un libro in particolare, ma non lo trovo. Vedo che è il reparto più affollato. I venti di guerra conducono a un’informazione più capillare. Due testi che cercavo da tanto sono davanti a me e sono tentata di prenderli, ma desisto. Intanto passo allo scaffale di filosofia: cerco Chomsky e scelgo “Le dieci leggi del potere”, e poi “La tentazione di esistere” di E.M. Cioran. Continuo a leggere ma il timore su possibili variazioni di orario del treno mi fa avviare verso l’uscita. Tornando indietro rieccomi di nuovo davanti allo scaffale Adelphi, per “L’ora di greco”. Una commessa, con fare sbrigativo, mi chiede se ho bisogno di qualcosa, le rispondo di no, allora mi indica la cassa. Ma come si permette se ancora non ho finito? Torno indietro a prendere un altro libro e sono già a sei. Chiudo gli occhi per non vedere più niente e mi dirigo alla cassa. Quando giungo nella sala d’attesa, sul display del mio treno non c'è alcuna indicazione.
Devo trovare un posto per mettermi a leggere. Sarà difficile, ma giro fino a quando ne trovo uno proprio in posizione ottimale: di fronte al tabellone. Non avevo però fatto i conti con la voce dell’altoparlante che va a gettito continuo. Mi faccio forza e comincio a leggere. Ogni dieci righe alzo lo sguardo e controllo: del treno niente. Comincio a preoccuparmi, ma proprio in quel momento scorre la scritta della linea ripresa per Napoli Centrale, dopo i dovuti controlli. A quel punto comincio a fissare il tabellone degli arrivi. Manca ancora un’ora. Leggo e alzo lo sguardo: due napoletani si siedono accanto a me. Parlano sottovoce poi lentamente aumentano il volume, fino a confondersi con la voce dell’altoparlante. Cerco di riprendere la lettura ma ecco che poliziotti e finanzieri si avvicinano a un folto gruppo spagnolo seduto alle mie spalle. Chiedono loro documenti. Partono sorrisi a più non posso e non capisco proprio cosa abbiano da ridere. Alla fine il gruppo si alza e scompare ma subito dopo ritorna a occupare i posti di prima. La voce che annuncia gli arrivi e le partenze è veramente un martello pneumatico. Mi guardo intorno e vedo tipi strani. Sono catturata da una donna che assomiglia a Judi Dench: capelli corti bianchi, volto tondo, occhi grandi e cerulei. Anche l’abbigliamento non è da meno: smanicato color ghiaccio lungo, scarpe basse con calze di lana, borsa enorme sottobraccio. La cosa più affascinante è il suo levriero con cappottino intonato al suo. Mai visto un levriero grande avvolto in una coperta. Lei lo tiene al guinzaglio in modo morbido mentre il cane la asseconda. Si fermano davanti a me. Il cane sembra uscito da un college inglese: si muove con leggerezza, avanza come una gazzella, non strattona, non tira, si attiene al passo della padrona quasi fossero sincronizzati. Quando lei si ferma, il cane resta con lo sguardo fisso avanti quasi gli fosse proibito di girarsi sui fianchi. Cammina dolcemente, anche lei non corre. Li osservo fino a perdersi nei corridoi dei binari. Ed ecco che arrivano i due di prima, questa volta invertono il posto a sedersi, cominciano a parlare in dialetto e lentamente si lasciano andare. Partono con lo spread, gli interessi, le assicurazioni e finiscono col kebab. Mentre cerco di concentrarmi sulla pagina, passa il camioncino per raccogliere la spazzatura, come un serpentone attraversa la sala. Al ritorno è stracolmo. Dove avrà caricato tutti quei rifiuti! Finalmente arriva il mio treno sul display degli arrivi ed è sul binario 17. Il numero mi mette inquietudine e meno male che non è venerdì. Attendo ancora qualche minuto per assicurarmi e poi mi avvio al treno. Mi siedo nel posto prescelto. Subito dopo arrivano cinque napoletani. Immagino che tre siano accompagnatori di due di loro, ma quando alla partenza non scendono, invio un messaggio a mia figlia: “Dopo aver speso due euro per scegliermi il posto, non posso nemmeno leggere. In cinque mi impediscono di farlo: uno ascolta musica alla radio, e che musica; un altro, per contrastarlo forse, ascolta Vivaldi e sarebbe cosa buona se non si sentisse di sottofondo l’altra; un altro sta raccontando le sue prodezze da "Don Giovanni" e gli altri due lo spingono, con domande, a raccontare le conquiste." Mia figlia mi risponde con un sorriso. Cerco di leggere ma niente. Con sei libri davanti chissà se potrò aprirne uno. Mi alzo e mi giro dietro per guardarli, magari si rendono conto. Dopo poco passa il controllore e li invita a occupare i posti prescelti, per cui devono ritornare all’inizio della cabina e mi salvo. Inizio a leggere I.B.Singer, mentre mi lascio alle spalle Firenze Santa Maria Novella. Ricordo di aver comprato anche “Cosa può un saluto” con una bellissima copertina che rappresenta la Madonna di Antonello da Messina e non me lo ritrovo. Devo averlo appoggiato accanto a me per sistemare gli altri e credo di averlo lasciato lì. A Firenze il libro sospeso.
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