lunedì 30 dicembre 2024

I presepi e i loro velati messaggi

di Anna Guarracino,  Animatore della Cultura e della Comunicazione 

Sant'Agnello - Quanti presepi intorno a noi! Se ne vedono dappertutto, nelle chiese, nei locali pubblici, nei giardini comunali e credo che siano presenti in quasi tutte le case di noi cristiani. Tutti sono incantevoli ed emozionanti, pur se per aspetti diversi. Io li ritengo, da sempre, vere opere d’arte e di creatività e perciò ne visito tanti, ogni anno, in questo periodo natalizio. La capanna, con la Sacra famiglia e gli angeli, è l’elemento spiccante e comune a tutti loro, come alcuni pastori che simboleggiano personaggi che, per tradizione, non possono mancare in queste rappresentazioni della Natività e mi riferisco a Benino, al pescatore, al cacciatore, al macellaio, all’oste, alla lavandaia, oltre a quelli storici del tempo di Gesù, come Erode e i soldati. Spesso, nel guardarli, ci si ferma a una loro visione superficiale e magari così non si coglie il loro messaggio sotteso, sempre presente nella mente e nel cuore dell’ideatore. Raccontarli tutti è impossibile e per questo mi soffermo solo su quello della mia Parrocchia della Natività di Maria Vergine, dei Colli di Fontanelle. Questo presepe, come i tanti precedenti, spinge alla riflessione perché a solo guardarlo non lo si comprende, nell’immediato, nel suo profondo significato: potrebbe sembrare una semplice rappresentazione della Natività, limitata alla sola Sacra Famiglia, ma non è così. E allora, se non ci sono pastori né altri scenari, dove sta la sua grandezza e la sua originalità? Indubbiamente sta nel significato religioso dell’intero allestimento dell’opera. La capanna è situata nel tronco di un grosso abete che troneggia sull’altare, a simboleggiare l’albero della vita che poggia su basi solide (il Vangelo). Quest’abete è costellato di luci (rappresentano noi fedeli) e s’innalza verso il cielo, culminando in una cima illuminata da una stella più grande, la cometa (Dio, nostro Padre): è la metafora della vita dei cristiani.

  L’albero della vita sta a ricordarci alcuni versetti del salmo 1: “Sarà come albero piantato lungo corsi d’acqua, che darà frutto a suo tempo e le sue foglie non cadranno mai; riusciranno tutte le sue imprese”. In tutta la scenografia, salta agli occhi l’elemento apparentemente incongruente che sta alla sinistra di questo presepe ovvero la croce con Gesù morto. È un vero pugno allo stomaco per l’osservatore distratto. È spontaneo chiedersi del perché nella festività della Nascita di Gesù, della gioia per antonomasia, per noi cattolici, sia lasciato accanto al presepe il Crocefisso che ci ricorda la morte di Gesù. “ E’ l’alfa e l’omega della parabola terrena del Verbo fattosi carne ”: così, nell’omelia, il nostro sacerdote, Antonino De Maio, ha spiegato l’inesplicabile. E ha aggiunto: “Dio nell’Eden insieme all’albero della conoscenza del bene e del Male previde anche l’albero della vita ma l’umanità scelse frutti dall’albero della conoscenza del bene e del male. ​ Quest’albero è citato ogni venerdì santo, nell’adorazione della croce, dopo lo svelamento del Crocefisso allorquando è detto: Ecco l’albero della vita dal quale sgorga la salvezza per tutti e dal quale siamo redenti”. Dunque la croce è il vero albero della vita del cristiano che non può esimersene. Ognuno di noi porta sulle spalle il fardello pesante della propria croce, ma anziché disperarsene, deve guardare al Cristo per sopportarne il peso e sperare nella Redenzione che ci sarà per tutti i credenti, alla fine del proprio percorso di vita. Di qui la speranza che nulla andrà perso del nostro agire quotidiano se viviamo da veri cristiani, nella gioia della venuta di Gesù sulla terra, nella scelta di imitarne il modello di vita, suggeritoci nel Vangelo, e nella certezza del suo ritorno (Parusia o seconda Avvento) che premierà i fedeli con il pieno compimento del progetto divino. 

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