Oggi a Sant'Agnello messa in suffragio dei marinai deceduti. La Marina d'Aequa, vanto dell'Italmare, naufragò nell'Atlantico
di Fabrizio Geremicca - Il Corriere del Mezzogiorno
Il trentesimo era un cileno, riparato in Europa
per sfuggire a Pinochet ed imbarcato con il
passaporto, ma senza il libretto di
navigazione.
Si chiamava Carlos Quintana Correa ed era
salito in Germania a bordo della motonave
Marina d'Aequa della Italmare, compagnia di
navigazione che aveva gli uffici a Piano di
Sorrento.
Gli fu fatale il golfo di Biscaglia, come agli altri
29 membri d'equipaggio, (anche se sulla stele
commemorativa vengono riportati per errore
31 nomi) in gran parte originari della penisola
sorrentina, poi torresi e procidani.
Oggi nella chiesa di San Giuseppe, a
Sant'Agnello, si celebra una messa in suffragio
dei marinai che morirono il 29 dicembre 1981
in un pomeriggio di mare forza 9 e vento di
bufera.
«Dopo la sciagura - ricorda Luisa Bevilacqua,
che nella Italmare si occupava delle paghe dei
marittimi - non riuscimmo a contattare la
famiglia di Carlos.
Solo diversi anni più tardi la figlia, attraverso i
social, scrisse all'associazione che si occupa di
tenere viva la memoria del naufragio e mandò
una foto del padre».
La Marina d'Aequa, 32.000 tonnellate di
stazza, il 26 dicembre aveva lasciato Anversa.
Era diretta nel golfo del Messico e trasportava
grosse bobine di ferro per circa 30.000
tonnellate.
«In quei giorni a Piano di Sorrento - ricorda
Bevilacqua - c'era molto movimento in ufficio.
C'era chi portava il cesto di dolci, chi i limoni
della sua terra.
La mattina del 29 era trascorsa in questo clima sereno». Prosegue: «Verso le 16.30 arrivò la chiamata dal comandante della Marina d'Aequa. Comunicò che la nave era in difficoltà, ma sembrava abbastanza tranquillo. Aggiunse che se la situazione fosse peggiorata, avrebbe chiesto alle capitanerie della zona di intervenire per evacuare il personale». Mentre il comandante parlava con la Italmare, la nave Theodore Fontane, della Germania dell'Est, che un paio di ore prima aveva captato un sos ed aveva invertito la rotta, era in contatto visivo con la Marina d'Aequa. Un aereo inviato dalla Marina Francese aveva già sorvolato la nave e un secondo sarebbe giunto sulla sua verticale alle 17, per poi rientrare alla base per fine autonomia. Alle 17.44 il comandante lanciava la richiesta di evacuazione. Alle 17.55 la Theodore Fontane comunicava che le luci della Marina d'Aequa non erano più visibili e che era svanita la eco del radar. «La notizia - ricorda ancora Bevilacqua - si diffuse in un attimo. Si precipitarono in ufficio mogli, madri, fratelli dei marinai. Io ne conoscevo bene diversi, con alcuni eravamo amici. Raffaele Esposito, per esempio, il secondo ufficiale di armamento, padre da meno di un anno. Rivedo Salvatore Lauro, nato e cresciuto alla Marina di Piano. Era un nuotatore straordinario, ma il mare si prese anche lui. Come Antonio Paese, che aveva 16 anni ed era al primo imbarco. Fu la mamma che insistette a mandarlo per mare, lui non voleva e piangeva. Non studiava, però, e lei credette in quel modo di trovargli un mestiere o forse di indurlo a tornare sui libri». Fu istituita una commissione d'inchiesta. «Concluse - dice Vincenzo Astarita, direttore di macchina in pensione e presidente dell'Associazione Professionale Capitani Marittimi - che le bobine di ferro del carico si erano mosse a causa delle onde. Sfondarono una paratia, si aprì un boccaporto della stiva e la nave imbarcò acqua». Gli esperti parlarono di "circostanze eccezionali" e "caso fortuito", pur raccomandando, per il futuro, maggior dimensionamento dei pannelli dei boccaporti e dotazioni di tute galleggianti e protettive dalla temperatura del mare. All'epoca ci fu anche chi espresse riserve sul carico, che sarebbe stato eccessivo, e sullo stato generale della nave. Astarita, però, non dà credito a tali affermazioni: «Quella non era una carretta del mare e ad Anversa si effettuavano controlli seri sulla linea di galleggiamento».
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