giovedì 16 gennaio 2025

L'intervista Alfonso Iaccarino «Difendo le nostre ricette vinti i pregiudizi sul Sud»

Lo chef tre stelle Michelin nominato ambasciatore della cucina nel mondo

di Luciano Pignataro - Il Mattino 

Un grande riconoscimento che è anche il regalo più bello del suo compleanno: 78 anni compiuti il 9 gennaio scorso. Alfonso Iaccarino è stato nominato ambasciatore nel Mondo della Cultura Gastronomica di Massa Lubrense, quale memoria storica territoriale. La decisione viene da chi lo conosce molto bene, il direttivo dell'Associazione Ristoratori Lubrensi presieduta da Francesco Gargiulo, il patron dell'Antico Franceschiello. Dalle 3 stelle Michelin alla laurea honoris causa in Scienze dell'Educazione al Suor Orsola Benincasa gli attestati di stima non sono mai mancati alla carriera, ma questo ha un sapore particolare. «Verissimo, intanto perché in Italia l'antico detto dei romani Nemo propheta in Patria ha una attualità sconcertante. Ma soprattutto perché amo, proprio come tutti gli italiani, i luoghi dove sono nato e cresciuto, mi ritengo molto fortunato ad aver avuto negli occhi l'azzurro del cielo e del mare di questa terra fantastica. Sono molto emozionato perché da quando esiste Don Alfonso, sarà per me un piacere poter promuovere Massa Lubrense e la sua cultura gastronomica nel mondo. Ringrazio gli amici ristoratori, con i quali stiamo programmando una serie di incontri con l'amministrazione comunale per rafforzare anche aspetti logistici a favore di tutte le attività del territorio».

 

Sei stato un visionario, sempre avanti agli altri. La tua vita è il risultato di continue rotture con il passato pur essendo un nume tutelare della tradizione. «Beh si, la prima rottura è stata l'apertura del ristorante con Livia nel 1973: io appartengo ad una famiglia di storici ristoratori e la decisione non fu certo facile, avevamo meno di 30 anni. Avevamo tanta voglia di imparare, ci appassionammo subito ai vini dopo aver conosciuto Veronelli e iniziammo a girare al Nord e in Francia. Mi ricordo che a quell'epoca non volevano neanche venderci il vino perché eravamo guardati con sospetto in quanto meridionali». Un pregiudizio che è duro a morire, anche in gastronomia. «Certo, nonostante oggi la cucina italiana parla il nostro dialetto, quello del Sud, ha soprattutto i nostri profumi e i nostri sapori. Elon Musk l'altro giorno si è mostrato con un piatto di spaghetti al pomodoro per rappresentare l'Italia, una ricetta di cui parla il Cavalcanti nel lontano 1837, nata dalla grande cultura del popolo napoletano. Oggi tutti riconoscono la superiorità dell'olio d'oliva in cucina, l'importanza degli ortaggi e pochi hanno la nostra cultura della materia prima». Pomodoro, pasta e olio d'oliva. Il tridente della Dieta Mediterranea che tu per primo hai avuto il coraggio di inserire in un locale di alta ristorazione. «Sì, oggi sembra banale, e mi dispiace quando tanti nostri giovani dimenticano questa cultura e cercano cose complicate che non ci appartengono. All'epoca, a proposito di pregiudizi, si era convinti che il piatto principe della gastronomia dovesse essere basato sulla carne, le verdure erano un contorno, l'olio d'oliva non esisteva a tavola perché dominava il burro insieme ai fondi bruni e chi metteva il pomodoro nei piatti, un grande acidificante naturale caro ai nostri genitori, era subito criticato. La rivoluzione che abbiamo fatto è mettere questi ingredienti al centro dell'attenzione ed essere riusciti ad arrivare ai vertici della critica gastronomica italiana e straniera con questi prodotti. Il famoso Vesuvio di maccheroni è un piatto iconico da questo punto di vista, ha segnato la svolta». Oggi può sembrare strano che l'attenzione dell'alta ristorazione sia puntata in maniera così decisa sull'orto, ma è proprio l'autoproduzione di materia prima uno dei temi portanti in questo momento dei cuochi più famosi del mondo. È davvero tramontata l'epoca in cui il ristorante si distingueva per l'uso di prodotti di lusso? «Io credo che la differenza in cucina, oggi più che mai, la fa il prodotto. La tecnica si può imparare, la materia prima richiede intelligenza, cultura, assenza di avidità. Per questo abbiamo investito acquistando la proprietà di Punta Campanella in tempo non sospetti, quando nessuno parlava di biologico e di vegetale. La mia è intimamente legata al suo orto, soprattutto da quando mio figlio Ernesto è in cucina. Ogni mattina vado con il furgone nella proprietà, ci trascorro almeno tre o quattro ore e per ora di pranzo torna carico di prodotti di stagione. Già, perché la stagionalità è un altro elemento che distingue una cucina vera da una che non ha prospettive: non c'è nulla di più sbagliato di voler mangiare tutto sempre. Proprio questo atteggiamento è all'origine di un sistema produttivo sbagliato che pesa sull'ambiente e sulla salute dei terreni oltre che sul gusto perché per avere pomodori in inverno non c'è altra strada che la produzione in serra o l'importazione da Paesi lontani. Invece bisogna seguire i colori, bianco d'inverno, verde in primavera, rosso in estate, marrone d'autunno. Un vero menu che si rispetti non può ruotare meno di quattro volte l'anno». Ma il punto vero, quello che può interessare a prescindere dai discorsi sulla salute e sull'ambiente, non è la continua e progressiva perdita di sapore degli alimenti? «Quando sto fuori ogni cosa che si desidera è davanti al banco, puoi comprarla perché la distribuzione mondiale è più forte delle stagioni e delle distanze. Poi però addenti quella frutta, mangi quella verdura e non sanno di nulla, nonostante siano perfettamente esposte e molto belle a vedersi. Poi mangi un pomodoro San Marzano, una albicocca del Vesuvio e senti il sapore. Voglio dire che abbiamo di che costruire il nostro futuro ed essere competitivi: puntando sulla qualità alla quale nessuno può accedere perché le condizioni pedoclimatiche non si possono spostare da un capo all'altro del pianeta». In che direzione stiamo andando allora? «Per fortuna le cose stanno cambiando e noi come ristoratori ce ne stiamo accorgendo. Oggi possiamo scegliere fra tanti pomodori di qualità, tanti oli extravergini, legumi, produzioni artigianali, formaggi, impensabili sino a vent'anni fa. Siamo stati noi del Don Alfonso i primi ad inserire i vini campani in carta, e allora per un tristellato sembrava una bestemmia, si può capire come sia cambiata la situazione. Ma la battaglia si rischia di perdere nell'alimentazione quotidiana, dove ormai la grande multinazionale detta legge. Io sono convinto che tante intolleranze e allergie derivano dal fatto che non mangiamo cibo naturale e sano, a cominciare dagli omogeneizzati. Bisognerebbe ripensare tutto il sistema e difendere luoghi come la nostra terra, dove ancora la battaglia è in corso. Qui, al Sud, in Penisola, l'artigianato alimentare resiste ed è per questo che siamo il nuovo lusso per i ricchi di tutto il mondo. Con una differenza rispetto al passato: per mangiare bene oggi la cultura è più importante dei soldi».

Nessun commento: