IL FOCUS
di Anna Maria Capparelli - Il Mattino
Non solo arte e folclore, ma anche e soprattutto economia. La pizza napoletana, il piatto simbolo di Napoli, della Campania e del Bel Paese, è sempre di più un rilevante motore economico del territorio campano, con un traino forte per l'export agroalimentare made in Italy. Secondo gli ultimi dati di Coldiretti il fatturato che genera la mitica "rossa" ha superato i 15 miliardi e impatta su tutte le eccellenze nazionali. Per produrre ogni anno i 2,7 miliardi di pizze vengono utilizzati infatti 200 milioni di chili di farina, 225 milioni di chili di mozzarella, 30 milioni di chili di olio d'oliva e 260 milioni di chili di salsa di pomodoro. E proprio grazie a pizza e pasta Napoli è stata incoronata da Taste Atlas la città dove si mangia meglio al mondo. Intorno alla pizza girano affari d'oro, come spiega Alfonso Pecoraro Scanio, presidente di Univerde l'associazione che con Comune, Regione, Verace Pizza Napoletana e Pizzaiuoli Napoletani, grazie a una raccolta di firme partita in occasione di Expo 2015, ha ottenuto nel 2017 per l'Arte dei Pizzaiuoli Napoletani il riconoscimento di patrimonio immateriale dell'Unesco, uno dei rarissimi in questa categoria legati a una città. Una "laurea" che ha dato una spinta determinante all'affermazione della vera pizza napoletana che fino ad allora all'estero, secondo il presidente di Univerde, non aveva una connotazione napoletana e campana così spiccata. Il risultato? «Più occupazione afferma Pecoraro Scanio e non solo per l'aumento dei pizzaioli, ma anche per le attività di formazione, più turismo perché la pizza è diventata una vera e propria attrazione, e più export, perché oggi anche fuori dall'Italia si cercano farina e pomodoro italiani, senza dimenticare l'indotto della ristorazione che ha avuto un exploit proprio grazie alla richiesta di pizza».
Delle oltre 40mila pizzerie il 10% opera in Campania, mentre cresce anche l'asporto di cui è una protagonista indiscussa. Il valore della "pizza economy" nel mondo sale a quasi 160 miliardi di euro, una passione casalinga che tra l'altro affascina 4 famiglie su dieci in Italia.
APPEAL GIOVANI
Molti giovani si stanno avvicinando all'attività e sono sempre più numerose le Academy gettonate da giapponesi, brasiliani ed egiziani. Insomma Napoli e la Campania come hub di cultura alimentare. «Come si impara l'inglese a Londra così dice Pecoraro Scanio si viene a Napoli per imparare l'arte della pizza». E tutto questo genera reddito. D'altra parte la passione per la pizza ha contagiato tutto il mondo e secondo un'indagine Coldiretti il primato dei consumatori va agli Stati Uniti con 13 chili pro capite all'anno, in Europa sul podio ci sono gli italiani con 7,8 chili a seguire gli spagnoli con 4,3 chili, i francesi e i tedeschi con 4,2, i britannici con 4 chili, i belgi con 3,8, i portoghesi con 3,6 e gli austriaci con 3,3. Un fenomeno globale con un fatturato che a livello mondiale nel 2024 ha sfondato 160 miliardi. E con il riconoscimento Unesco è esploso anche il turismo che in questi ultimi anni sta facendo di Napoli e della regione le mete più gettonate dai vacanzieri italiani e soprattutto stranieri. La ricaduta del business è importante per il sistema produttivo campano, ma gli ingredienti base della pizza offrono un contributo determinante al successo della dieta mediterranea. Lo scorso anno l'export agroalimentare ha raggiunto quota 70 miliardi con incrementi a doppia cifra per l'olio extravergine di oliva (+56%), il pomodoro trasformato (+6%) e la pasta.
SPINTA ALL'EXPORT
L'ultimo dato Istat sul commercio estero, pubblicato ieri e relativo a novembre, ha segnalato i prodotti alimentari tra quelli che con la farmaceutica (altro settore in cui la Campania consegue ottime performance sui mercati esteri) hanno tenuto alta la bandiera del Made in Italy con +3% sull'anno precedente. Successi del made in Italy a tavola confermati dall'analisi del monitor di Intesa Sanpaolo sui distretti che ha assegnato a quelli alimentari e del Sud la palma della maggiore crescita dell'export. I big della tavola dunque viaggiano a vele spiegate, anche sull'onda dell'Amerigo Vespucci su cui il cibo è tra i fattori di promozione del made in Italy. Un percorso che rischia però di incagliarsi nel falso prodotto tricolore. Un'emergenza che interessa non solo i Paesi esteri dove il giro d'affari dell'Italian sounding ha superato quota 120 miliardi, ma anche il nostro territorio. Nella primavera scorsa in un blitz della Coldiretti nel porto di Salerno furono scovati infatti 40 container di concentrato di pomodoro cinese, un elemento che rischia di "inquinare" la migliore pizza nazionale. L'Italia nel 2023 ha acquistato 85 milioni di chili di pomodoro cinese. Numeri che preoccupano anche l'industria per l'arrivo sui mercati internazionali dei prodotti cinesi che ha denunciato l'Anicav - "diventano nostri concorrenti". E l'Italia in Europa è il Paese più penalizzato. Doppio danno: in generale per il settore agricolo e alimentare e più in particolare per la ricaduta sulla pizza che ha nella verace passata napoletana la principale fonte di sapore con la mozzarella anche questa vanto campano. Perché è vero che la Pizza Napoletana Stg è tutelata per legge e dunque il suo nome può essere riportato nei menù di pizzerie e ristoranti in Italia e nell'Unione europea solo se in regola con il disciplinare sia per quanto riguarda la lavorazione che le materie prime che devono essere di origine italiana dall'olio extravergine di oliva alla mozzarella di bufala campana Dop fino alla mozzarella tradizionale Stg e al basilico rigorosamente fresco, ma per quella generica il rischio di ingredienti "taroccati" ci può essere. Senza arrivare poi alla "pizzeria degli orrori" imbandita in un Villaggio Coldiretti organizzato a Napoli con pizze all'ananas, alla carne di canguro, con serpenti e grilli o addirittura alla cannabis secondo fantasiose interpretazioni di ristoratori nel mondo.
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