I ricordi campani del grande ciclista «Quante picchiate in Costiera! La corsa in quelle zone va sempre aggredita se no non la spunti In Irpinia gli scugnizzi volevano fregarmi il cappellino con la visiera Il Giro di quest'anno? Roglic è fortissimo ma tifo per Giulio Ciccone»
di Carmelo Prestisimone - Il Corriere del Mezzogiorno
Quante ne ha viste e quante ne ha passate lo "sceriffo" Francesco Moser, oggi magnifico 74enne, quando si è trovato qui tra i curvoni della Costiera amalfitana e le volate all'Arenaccia. Da Palù di Giovo, comune del Trentino, s'immerge con noi piacevolmente tra i sentieri di quella che sarà la tappa di giovedì prossimo del Giro d'Italia che da Potenza porta dritto a Napoli. Non solo perché c'è traccia di tanti sentimenti nel ricordo del tempo che fu quando sfrecciava con la bici sui pavè di Portici piuttosto che nella cronosquadre ad Ischia. Roba passata sulle pagine di epica dello sport. Moser, che ricordo ha delle sue corse in Campania? «Appassionanti certamente. Ricordo le tappe quando si transitava per la Costiera amalfitana. Erano delle picchiate dove se non stai davanti non la spunti. La gara in quelle zone va aggredita. Ricordo un giro del 1974, prima tappa a Gaeta. C'era quel Fuente che veniva chiamato "El Tarangu" per la sua tigna. Quante battaglie ingaggiavamo insieme sul Faito. Trai boschi irpini ricordo anche le marachelle degli scugnizzi del posto che utilizzavano i ramoscelli più lunghi degli alberi per rubare a noi corridori i cappellini con le visiere: indimenticabile!» Menzioni un trionfo ed un dolore avuto in Campania: partiamo dalle gioie «I sorrisi spesso arrivano agli inizi dei percorsi. Quando divenni professionista nel 1973 ricordo il primo Giro e una tappa a Benevento sulla superstrada che porta a Campobasso. Anche lì mi trovai ad attaccare a distanza Fuente e me la cavai dignitosamente. Poi lui fece con me lo stesso. E me lo ritrovavo sempre lì come un cagnaccio a mordermi sulla ruota. Ero all'esordio e tenevo a non sfigurare. Quell'edizione la vinse Eddy Merckx davanti a Gimondi e Battaglin». La pagina meno lieto: i dolori... «Tre anni più tardi, nel 1976, persi la maglia rosa al Lago Laceno. In Alta Irpinia dove faceva freddo anche in primavera. Quel Giro lo vinse invece Gimondi».
Senza la tecnologia imperante che c'è oggi come vi trovavate ad affrontare le gare? «Non sapevamo nulla di meteo e quant'altro. Ed il disagio era enorme perché non sapevi neanche come vestirti. Se utilizzare una maglia tecnica in più o in meno. Succedeva che spesso soffrivo sia in caso di caldo eccessivo che di fresco». Oggi invece? «Tutto più semplice tra i navigatori cellulari, i Gps. Quante strade sbagliavamo perché non sempre avevi cognizione dei percorsi. C'erano le mappe ma davvero poca roba rispetto agli aiuti che oggi dà il digitale». È tornato dopo 24 anni il Giro della Campania con una nuova edizione presentata a San Leucio dove lei c'era insieme a Gianni Bugno. «Fu un giornalista cavese Gino Palumbo a rilanciarla negli anni '70. Ricordo dei passaggi in Costiera come un arrivo all'Arenaccia davanti ad una folla festante. Ricordo nel 1973 quando la corsa venne annullata e interrotta a causa di un blocco stradale». Torniamo al Giro. Certamente le sue corse più dinamiche arrivarono negli anni più maturi. Lei vinse il Giro nel 1984 «E in quell'anno apprezzai molto il riposo che ci venne concesso a Cava de' Tirreni. Come dei flashback le elenco un paio di highlights senza soluzione di continuità. Nel 1974 la tappa portava sul Vesuvio, immagini la fatica. Nel 1978 si partiva da Caserta per arrivare a Napoli con il traguardo fissato al Maschio Angioino. E poi tanti altri». Gli avversari più tosti? «Saronni tra gli italiani. Fignon e Hinault tra gli europei». C'è un aneddoto che le è rimasto impresso? «Hai voglia. Su tutti la discesa sul valico di Chiunzi da Scafati dove Maurizio Bertini non riuscì a prendere bene una curva e cadde 10 metri sotto la carreggiata finendo il suo volo sulla tavole di un giardino». E invece qual è il livello tecnico del Giro di quest'anno e soprattutto chi potrebbe spuntarla? «Giro duro, durissimo. Non ci sono Pogacar e Evenepoel. Tra i favoriti c'è lo sloveno Roglic che è bravo, bravissimo nonostante non sia più un bimbo per i 35 anni compiuti. Tra i nuovi lancio Juan Ayuso, 22 anni, ottimo scalatore e molto dotato a cronometro». E tra gli italiani? «Spero bene per Giulio Ciccone che torna al Giro dopo 2 anni. Forte ma non fortissimo. Dai, partiamo».
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