IL FOCUS 
Maurizio Crozza che imita
il Governatore De Luca
di Antonio Menna - Il Mattino
Correva l'anno 2020. Era gennaio. Dalla Cina, la lontanissima Wuhan, arrivavano voci discordanti su uno strano virus influenzale che si diffondeva alla velocità della luce e mandava le persone a respirare artificialmente nelle terapie intensive. È una variante della Sars, si minimizzava in Occidente. Non accadrà nulla. A Santa Lucia, Vincenzo De Luca, si apprestava a concludere il suo primo mandato da Presidente della Regione Campania. A marzo ci sarebbero state le elezioni. I partiti discutevano già di alleanze, strategie, liste. E di candidati. Anche all'epoca, De Luca era inviso alla sua coalizione. Il centrosinistra non voleva ricandidarlo. I sondaggi lo davano perdente. Ma come si fa a fermare un presidente uscente? A febbraio, però, improvvisamente lo scenario cambia. Quello strano virus corre dalla Cina all'Europa e irrompe anche in Italia. Dal principio, con una ingenuità che oggi appare disarmante, si cominciò col disertare i ristoranti cinesi. Come se un virus si potesse fermasse alla porta di un esercizio commerciale. Poi la cruda realtà. L'incubo della pandemia. Si sperimentarono parole e modalità di vita mai viste prima: lockdown, coprifuoco, distanziamento, divieto di assembramento, chiusi i negozi, chiuse le scuole, tutti chiusi nelle case. E tutti sui social a raccontare quello smarrimento. Fu allora che Vincenzo De Luca colse la palla al balzo e sovvertì totalmente il suo destino politico. Dove sono tutte le persone? Le strade sono vuote. Le piazze sono vuote. Le sale sono vuote. Sono tutti su Internet. E allora andiamo su Internet. Una cosa semplice: una scrivania, una telecamera e via alla diretta su Facebook. Dialogo, occhi negli occhi, con i cittadini. Senza domande, senza contraddittorio. Un monologo che toccava le corde giuste. Voi siete spaventati, ma ci sono io qui, in prima linea, a guidare la lotta al virus. Funzionò così tanto e così bene che in quelle settimane, De Luca e la sua diretta divennero un fenomeno mondiale.
IL TORMENTONE
Quella che è finito ieri, con l'ultimo collegamento da Presidente della Regione sulla sua pagina Facebook, è un vero case study della comunicazione politica disintermediata dei tempi moderni. Un esempio da manuale. Un'occasione colta al volo, con pochi mezzi, un paio di idee, ma geniali, semplici come tutte le idee geniali, e una capacità naturale di De Luca di interpretare il ruolo arcigno e duro dello sceriffo che difende il bene dal male. Si vota in autunno, dopo una breve proroga per scavallare le chiusura di marzo. Le percentuali bassissime dei sondaggi di inizio anno sono un remoto ricordo. De Luca stravince su tutto e su tutti. Nei partiti la discussione non riesce nemmeno a cominciare. Tutto cambiato grazie alle dirette Facebook. Ognuna di queste toccava punte di 200mila spettatori in contemporanea, mentre le registrazioni lasciate sulla pagina arrivavano nei giorni successivi a superare il milione di visualizzazioni. I video facevano il giro del mondo. Naomi Campbell ne rilanciò uno sul suo profilo Instagram, indicandolo ai potenti del mondo come esempio. Un fenomeno inarrestabile.
IL SEGRETO DEL SUCCESSO
Ma qual è stato il segreto di tutta questa popolarità? Niente di trascendentale ma tutto fatto benissimo. Il modello era già stato sperimentato. I più maturi ricorderanno il "Tormentone" di Angelo Manna, un giornalista che, alla fine degli Anni Settanta, dalle frequenze di Canale 21, denunciava con piglio autoritario tutto e tutti, riuscendo così a diventare parlamentare per due legislature. E memorabili furono anche, negli Anni Ottanta, le trasmissioni nelle tv private di tutta Italia, di Marco Pannella, che al telefono in diretta e senza rete faceva parlare gli italiani. De Luca non inventa nulla. Ma lo fa benissimo, usando modello fai da te le nuove tecnologie: arringa le folle, soffia sugli istinti, appassiona la gente e fa sognare. Diventano così per l'appunto veri tormentoni le frasi di quelle dirette, ancora oggi memorabili. La minaccia agli studenti che si laureano durante la pandemia e che vogliono far festa di «mandare i carabinieri con il lanciafiamme». L'ironia sui «vecchi cinghialoni» che vogliono andare a fare jogging mentre c'è il lockdown. L'insulto a chi si toglie la mascherina, «che non è un fenomeno ma un imbecille fenomenale» oppure «è una bestia». Con tutto il corollario sferzante: le zeppole di San Giuseppe con la crema al coronavirus, il sarcasmo su chi voleva riaprire le Chiese per parlare con il Signore senza domandarsi se «il Signore abbia tutto questo desiderio di ascoltarli». «Salverò i miei polmoni dal virus disse una volta ma non il mio fegato dagli imbecilli». «Se volete collaborare bene, se volete le sciabole, meglio», minacciò. «I no vax? Una banda di imbecilli e irresponsabili da buttare a mare», tuonò poi al tempo dei vaccini. «Contro l'irresponsabilità dei no-vax, mi rimane solo il Napalm».
IL CATALOGO DELLE FRASI
L'enorme eco avuto da quelle dirette ai tempi del Coronavirus hanno segnato, poi, tutto il secondo mandato di De Luca, che non ha mai saltato in questi cinque anni l'appuntamento del venerdì. Facendone, con meno ascolti e via via sempre meno consensi, una proprio personale tribuna. Il pulpito da cui viene la predica. Senza nemmeno questa grande preoccupazione del politicamente corretto: gli avversari politici diventano «somari», i presentatori televisivi «fratacchioni», gli esponenti del governo sono o cafoni o hanno «la faccia come il fondoschiena, oltretutto usurato»: il tutto alimentato da un ego con pochi eguali. «La riforma più urgente nel nostro Paese è la riapertura dei manicomi», ha detto in uno dei suoi sfoghi. Per poi ricordare che «qui mi votano anche le pietre», parlando però della sua Salerno. La città dove tutto è cominciato e dove tutto, forse, tornerà a cominciare. Chiuso ieri il monologo con lo stemma della Regione, continuerà con altre insegne ma forse con minor successo, chissà se anche con un altro stile. Del resto, all'uomo non manca l'intelligenza di cogliere i cambiamenti, tanto che proprio in una delle ultime dirette si lasciò scappare, tra i denti, come sa fare lui quando mastica amaro, forse come una confessione o un presagio, o chissà una dolente autocritica che «la volgarità offende chi la usa, non chi la subisce».
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