È veramente difficile immaginare che il nuovo regime, entrato in vigore dall’1 gennaio scorso in tema di autorizzazione paesaggistica, possa rappresentare un punto a favore della semplificazione amministrativa, in particolare su di un terreno così delicato e complesso quale è quello del governo del territorio. A partire da quella data, infatti, è diventato operante il contenuto dell'art. 146 del decreto legislativo 42 del 2004, meglio conosciuto come Codice dei beni culturali. La più importante novità introdotta dalla nuova norma è che, per ogni autorizzazione edilizia che riguardi edifici ricompresi in aree sottoposte a tutela paesaggistica, d'ora in poi il parere da acquisire, da parte della competente soprintendenza, sarà preventivo, e vincolante, e non più limitato alla legittimità del titolo abilitativo, bensì riferito al merito dell'intervento. L'intero impianto precedente, che vedeva le Regioni esercitare la competenza in materia, attraverso la delega ai comuni, e le Soprintendenze svolgere una funzione di controllo, con il potere di annullamento degli atti, è ora ribaltato completamente. L'autorità competente territorialmente si limita a trasmettere le richieste agli organi periferici del Ministero dei Beni Culturali e, una volta ottenuto il parere, a rilasciare l'autorizzazione o a diniegarla. Ma non basta. Lo stesso Codice dei beni culturali prevedeva che, entro il 31 dicembre scorso, le Regioni operassero una revisione dei vigenti sistemi di delega del potere autorizzatorio. E questo sarebbe avvenuto attraverso la verifica della sussistenza nelle amministrazioni delegate (i comuni, nel caso della Campania) dei requisiti di organizzazione e di competenza tecnico-scientifica ora richiesti e ciò a pena di decadenza delle deleghe in essere. Poiché tutto ciò non è avvenuto in Campania, il risultato è che, dall'inizio dell'anno, il potere di rilasciare autorizzazioni paesaggistiche, per ognuno dei 505 comuni campani, è ritornato alla Regione. Con il conseguente esautoramento di tutte le Commissioni edilizie integrate che supportavano le amministrazioni locali. Se è vero che una riforma del ruolo e del modo di operare sia delle Commissioni edilizie, che di quelle integrate, è auspicato da più parti (se non addirittura praticato, almeno per quelle edilizie, con la loro abolizione, dove è consentito già) di certo una modifica così radicale, in questo campo, produrrà paralisi e ulteriori difficoltà. Visto che la nuova disciplina si applica anche a tutti i procedimenti in corso ma non conclusi con l'autorizzazione entro la data del 31 dicembre 2009. Anche per questa ragione si erano susseguite numerose proroghe all'entrata in vigore delle disposizioni, per consentire un più graduale trapasso dal precedente regime a quello nuovo. Ma oltre i prevedibili contraccolpi immaginabili sul piano puramente operativo, c'è da dire che anche la filosofia che presiede al cambiamento imposto dal Codice dei beni culturali non è condivisibile. Mentre infatti si procede ad una sempre più marcata accentuazione del carattere federalista del nostro ordinamento, nella separazione dei poteri e nel riconoscimento del valore della sussidiarietà, in questo caso si esautorano Comuni e Regioni dal potere di intervenire in materie come ambiente, paesaggio e governo del territorio per restituire allo stato tale competenza. Un percorso a ritroso, in totale controtendenza, che non trova giustificazioni. E che difficilmente potrà produrre risultati migliori, in tema di tutela e salvaguardia delle aree protette, visti anche i mezzi e gli organici delle locali soprintendenze. Ben sapendo che, se problemi reali si hanno in quei territori, questi non riguardano la discrezionalità nell'approvare o meno i progetti legittimamente presentati, quanto nel reprimere, o impedire, gli abusi edilizi. Un'ulteriore fase confusa si preannuncia dunque nei prossimi mesi, a meno di una tardiva, ma ancora possibile, resipiscenza normativa in sede di conversione del decreto legge «Milleproroghe». (di Bruno Discepolo Presidente del Progetto Sirena da il Mattino)
2 commenti:
Bruno Discepoli è stato assessore a Vico con la giunta Savarese.
In un anno ha messo in cantiere decine di progetti e istituito l'ufficio di piano che ancora oggi fa campare decine di giovani e fa atteggiare il sindaco e i suoi servi.
Ma molti di sinistra lo hanno trattato con sufficienza e preso a calci nel culo.
Sì, il PDS ha sempre ritenuto Cardone molto più in palla del Discepolo.
Che vergogna.
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