martedì 14 aprile 2009

A un anno dalle politiche il Pd perde un voto su tre

Sono trascorsi esattamente dodici mesi da quando, nel­l’aprile 2008, si è votato per le politiche. Cosa faremmo og­gi se si dovesse rivotare? Un quesito del genere, posto qualche giorno fa ad un campione di italiani, mostra, forse più di ogni altra considerazione, quanto l’elettorato sia potenzialmente mobile e quanto lo scenario politico sia soggetto a mutamen­ti, anche in tempi rapidi. Quasi il 20% della popolazione, infat­ti, dichiara che muterebbe il proprio comportamento rispetto ad un anno fa. La quota maggiore è rappresentata da chi dice che se fosse chiamato oggi a votare si rifiuterebbe, rifugiando­si nell’astensione. Si tratta dei delusi dalla politica, di chi ha maturato in que­sti mesi la disaffezione nei confronti del partito votato e/o, spesso, dell’intero sistema politico. Questo segmento di citta­dini è più presente tra i residenti nelle zone meridionali che, come si sa, sono sempre tendenzialmente più mobili. Ma la caratteristica più significativa dei «delusi» è il loro orienta­mento politico. La decisione di astenersi, infatti, è più diffusa tra chi nel 2008 aveva votato per il centrosinistra e, in partico­lare, per il Pd. Più del 15% degli elettori dell’anno scorso per Veltroni dichiara oggi di volersi astenere. Ma, per misurare la perdita complessiva subita dal Pd, a costoro va aggiunto un altro 14% che afferma che, in caso di elezioni, opterebbe co­munque per un altro partito. Ciò conferma quanto emerge dalle analisi sulle intenzioni di voto, che vedono come tratto caratterizzante il crollo del Pd e il successo del Pdl. Dal 33,1% ottenu­to l’anno scorso, il partito ora gui­dato da Franceschini è sceso oggi al 24-25%. Come si è detto, una buona parte dei votanti di allora si asterrebbe. Ma molti altri sce­glierebbero forze diverse: soprat­tutto l’Idv di Di Pietro, ma, in cer­ti casi, il Pdl, specie grazie all’at­trazione esercitata di Fini su una quota crescente di ex elettori del Pd. All’andamento negativo del Pd si contrappone il trend posi­tivo del Pdl. Passo dopo passo, Berlusconi ha conquistato por­zioni sempre più ampie di elettorato, sino a giungere al 42-43%. Le aree di maggior successo sono ancora quelle deli­neate dalle elezioni dell’anno scorso: il Sud, i lavoratori auto­nomi, i meno giovani (tutte categorie nelle quali, non a caso, il Pd ha visto le erosioni maggiori) e, specialmente, le casalin­ghe. Ma si tratta di mere accentuazioni: l’ampiezza del consen­so è tale da rendere il Pdl un partito trasversale, presente in misura significativa in tutti i settori demografici e socioecono­mici. A questo segmento di elettorato, per così dire «certo», si può affiancare il mercato potenziale, costituito da chi, pur non scegliendo per ora il Pdl, afferma di prenderlo comunque in considerazione per un eventuale voto futuro. Si tratta di un altro 13% di elettorato, situato perlopiù tra gli astenuti, gli in­decisi e i votanti per la Lega. Quest’ultima si conferma al tempo stesso il principale allea­to e il maggior concorrente di Berlusconi, quantomeno sul piano della raccolta dei consensi elettorali. Se il Cavaliere riu­scisse a conquistare parte del proprio elettorato potenziale— sottraendolo soprattutto a Bossi — raggiungerebbe l’obiettivo del 51%, più volte annunciato al congresso. Ciò che spiega in larga misura le frizioni emerse proprio in questi giorni tra Ber­lusconi e il leader leghista. (Renato Mannheimer da il Corriere della Sera)

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