mercoledì 12 agosto 2015

Rifiuti, frane e copertoni il parco regionale del Faito trasformato in discarica

Il versante di Stabia abbandonato agli smottamenti reti e muri di contenimento cedono e crollano nel vuoto

Fonte: Stella Cervasio da La Repubblica

Faito discarica che crolla. Un parco regionale istituito nel 2003 e 12 anni di vuoto, le guide del Cai che ne raccomandano i percorsi, ma la distruzione di uno più bei paesaggi dell'Appennino italiano, tra monti e mare, è sistematica e inarrestabile. Due versanti, quello di Castellammare di Stabia e quello di Vico Equense, il primo non abitato e perciò abbandonato. Muri a secco frananti, pareti della montagna che smottano e fra i faggi secolari che aiutavano nell'industria della neve conservando il ghiaccio dell'inverno sotto le foglie, montagne di rifiuti, pneumatici, materiale edilizio. Proprio il materiale che in una zona a parco nessuno si aspetterebbe. Basta salire invece dalla strada che da Castellammare di Stabia e dal Real sito del Quisisana, dove il parco ha una sede, per convincersi dei rischi che corre il vecchio Monte Aurum in tutta la sua triste bellezza proprio sul versante nord.Bartolo con i suoi due cani alla bella età di 72 anni fa jogging ed è uno dei rari "abitatori" di questo versante del Monte Faito. Come pochi altri che si esercitano nella corsa leggera, si arrampica per circa 4 chilometri, fino alla statua della Madonnina, sopravvissuta integra a un lancio sacrilego fatto per dispetto. Siamo al terz'ultimo pilastro della funicolare, 500 metri dalla vetta (1131 metri). "Vedo questo posto peggiorare sempre di più". E mostra le reti poste a protezione di alcune pareti rocciose. Alzando lo sguardo per osservarle ci si accorge che invece in basso molti muri che contenevano la strada delimitando lo strapiombo, sono caduti. Al loro posto, niente. Oppure tondini di ferro arrugginiti legati da transenne a nastro in plastica risalenti ad almeno un quinquennio fa, tutti sbiaditi.
 
Qualcuno ci ha anche messo dei tronchi spezzati, che inevitabilmente alla prima pioggia rotolano a valle. Lo stesso, con conseguenze assai peggiori, accade - e il "podista" Bartolo conferma - per i rifiuti lasciati in ogni dove, che, portati dall'acqua piovana, ostruiscono i canali naturali. Dopo i primi 500 metri si incontra un divieto di accesso anche ai pedoni che i pochi arrampicatori ignorano, ma gli automobilisti fanno lo stesso per salire sulla montagna proibita. Strada vietata, ma chi se ne importa? A circa un chilometro e mezzo dall'agriturismo Quisisana c'è la prima frana. La precedono rifiuti ingombranti, soprattutto tubi di gomma bianchi di cui, spiega Bartolo, si saranno disfatti i ladri di cavi di rame delle ferrovie. Metri e metri di guaine tagliate e inservibili, altamente inquinanti per un bosco bello e prezioso. Pezzi di tronchi sono ovunque: il faggeto non è sorvegliato, ciascuno fa il taglialegna come e quando gli pare. A pochi passi, una sorta di installazione di arte contemporanea con una poltrona istoriata e il vecchio tubo catodico di un televisore. Entrambi capovolti, osservano il mondo alla rovescia che li ha collocati lì. Nella confinante boscaglia gli sversatori clandestini di uno o più dei 27 comuni del parco (8 della Penisola sorrentina, 14 della Costiera amalfitana e 5 dell'Agro nocerino) depositano materiale edile, ceramiche di sanitari da bagno, mobili e pneumatici. "La tragedia dell'ignoranza - commenta sconsolato Bartolo - ci sono ormai centinaia di progetti per riciclare i copertoni. Qui invece li bruciano". Con gravi danni alla flora e alla fauna. Per paura di incendi, spesso i contadini trascinano questi resti al centro della carreggiata, che rimane bloccata. Altre ruote vecchie finiscono in burroni dai quali nessuno le tirerà più fuori. Il Parco dei Monti Lattari attende il preliminare del Piano strutturale, che ha avuto parere favorevole lo scorso 23 luglio dalla Comunità del Parco. Dovrebbe essere, questo, il primo passo che porterà al Piano del Parco, lo strumento di co-pianificazione, programmazione e tutela dell'area protetta. La funivia, chiusa da tre anni, è una speranza, dopo l'annuncio di De Luca di volerla riaprire. "È un grosso errore - dice il naturalista esperto di Faito Ferdinando Fontanella, blogger di "Libero ricercatore" - considerare il monte gestibile da due Comuni. Il parco non ha mai funzionato perché affidato a cariche politiche, senza mai nominare l'organo esecutivo: il direttore". Intanto cresce il rischio idrogeologico in un sito che dovrebbe essere protetto e difeso, proprio sul versante nord, quello dal lato di Castellammare di Stabia. Nello scorso gennaio la Federazione nazionale "Pro Natura" , ha scritto al sindaco Nicola Cuomo e alla Procura. "Il percorso di accesso alla sommità, pari a circa 8 km, presenta situazioni di pericolo per chi accede con mezzi motorizzati o a piedi". Mentre il lato di Vico Equense periodicamente è oggetto di interventi dei volontari che ne ripuliscono piazzali e sentieri, quello stabiese è dimenticato.Ne sa qualcosa Legambiente, che ha ricevuto decine di segnalazioni per l'amianto: "È sconvolgente - commenta Michele Buonomo, presidente regionale - Il Faito è un patrimonio importantissimo idrogeologico. Organizzeremo una grande tappa di "Puliamo il mondo": 25, 26 e 27 settembre con associazioni e fondazioni locali. Avremo con noi un imprenditore della green economy che acquisterà i kit per la raccolta".

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