giovedì 3 settembre 2015

L’arte del buon vino

di Filomena Baratto

Vico Equense - La penisola sorrentina è ricca di vigneti su terreni a terrazze degradanti verso il mare. Vigneti non molto grandi ma ben organizzati in filari precisi, ben potati, che in questi giorni mostrano i primi colori dell’uva. Da queste parti la maturazione avviene tardi rispetto ad altre zone e i primi grappoli succosi sono pronti a metà settembre. Qui si trova un particolare vitigno importato dalla Grecia, che tutti chiamano “di sabato”. La storia dell’uva di sabato mi è stata raccontata dal proprietario di un agriturismo sulle colline di Vico. Il nome, a suo dire, prende spunto dal giorno in cui la nave col vitigno giunse nel porto di Napoli, appunto di sabato. E’ un’uva corposa, che matura molto lentamente e necessita di un buon terreno. Mio padre ha un vigneto di uva di sabato dalle parti di San Salvatore che cura con grande lavoro. Qualche volta vorrei essere la sua vigna, glielo dico spesso, per avere le cure che egli riserva a questa pianta con tanto amore, forse molto più di quelle rivolte a una persona. Guardo la vigna e la invidio: sfoltita delle foglie che fanno ombra agli acini, con i rami ben legati, con i grappoli ben esposti al sole. Camminare sotto il pergolato di uva è una sensazione unica, come se i tralci al passaggio scendessero ad accompagnarci. Le foglie sono ben tese e di un verde chiaro, con parti esposte al sole e altre all’ombra. Ricordo i vitigni di Francia durante un viaggio verso la Spagna, così diversi dai nostri: bassi e con foglie rade, che per curarli ci si deve abbassare, mentre i nostri necessitano dalla scala, visto che sono alti a misura d’uomo e con pergolati. A casa di mio padre ogni cosa sa di uva. Il calendario in cucina è ricco di note per ricordare la concimatura, la potatura, le fasi lunari, i cambi di stagione, gli innesti effettuati. Quando si spolvera da quelle parti si deve passare oltre, il calendario rappresenta la scatola nera di casa o per meglio dire della vigna. Di questi tempi passeggiare sotto la vite è un vero piacere. Si è investiti da pampini e tralci, dal loro profumo, dalle loro appendici che si avvinghiano agli alberi che si trovano nelle vicinanze: i peri, i meli, i pruni…

Il prato sotto raccoglie un tappeto di foglie e di acini beccati dai merli. Mi piace piluccare, assaggiare grappoli d’uva nera o bianca, di sabato o cornaiola, fermandomi sotto un albero in compagnia del cane. Di questi tempi mio padre è sempre indaffarato nel palmento, sì, proprio quello menzionato nella Giara, tratta dalle Novelle per un anno di Pirandello, adiacente alla casa, dove si concentrano gli attrezzi per la vendemmia che avverrà a ottobre inoltrato. E’ una sorta di laboratorio o il suo fortino, un luogo il cui accesso non è vietato a tutti. All’interno si trovano gli attrezzi e gli strumenti per la vendemmia posti con un ordine e una cura certosina. Sembra di entrare in chiesa dove le botti hanno l’aria di ampolle per santini mentre i macchinari coperti danno l’impressione degli scanni lungo le navate centrali. Il vino è a cura di mio padre, nel senso che fa tutto da solo, con pazienza e lentezza proprio delle persone appassionate. Mio nonno aveva la sua stessa passione e buon sangue non mente. Me lo ricordo ancora con i suoi alambicchi posti su un banco da lavoro a misurare e a controllare l’intensità del mosto, i vari gradi di fermentazione il colore del vino. Appena si entra dal cancello di casa, la vite appare in tutto il suo splendore con l’uva che pende lungo tutto il viale, come una benedizione. Si entra con lo sguardo rivolto al cielo per quei grappoli che pendono sulla testa e pur fotografando tanta bellezza, non si ha l’idea di quello che invece appare alla vista di chi si trova sotto il pergolato. Quando mi trovo lì, mi giungono echi letterari di ogni sorta, evocati dal profumo dell’uva matura, o dal mosto che fermenta o dai pampini asprigni che dall’alto seminano i loro profumi. Mi giunge dall’Iliade, XVII libro, la descrizione dello scudo di Achille scolpito da Efesto, una delle più belle descrizioni della letteratura antica dove tra l’altro si legge anche della vendemmia: E sopra vi pose una vigna, grande, gonfia di grappoli, bella, d’oro. E l’uva in esse era nera, ma la vigna era tutta sorretta da pali d’argento. E accanto un fossato di smalto e intorno un recinto di stagno tracciò. E un solo sentiero passava la vigna: per esso muovevano i raccoglitori nel tempo della vendemmia. E ragazze e ragazzi di lievi pensieri dentro canestri intrecciati portavano il dolce raccolto. Poi al tramonto, quando il sole diventa dorato e l’aria rossastra giunge Dante dal Purgatorio, canto XXV a dettare versi:

E perché meno ammiri la parola, 
guarda il calor del sole che si fa vino, 
giunto a l’omor che de la vite cola. 

In prossimità della vendemmia, a ottobre inoltrato, risento ancora i versi di Goethe:

…presto andrò alla vigna
a vendemmiare l’uva.
C’è vita tutto intorno,
ribolle il vino nuovo,
ma nella pergola sola,
ah, penso, se fosse qui
le porgerei questo grappolo
e lei – cosa darebbe a me
E’ la volta di Yeats con i suoi versi:
Il vino raggiunge la bocca
E l’amore raggiunge gli occhi,
Questa è la sola verità che ci è dato conoscere
Prima di invecchiare e morire.
Sollevo il bicchiere alle labbra,
Ti guardo e sospiro.

Un buon bicchiere di vino accompagna il cibo, aiuta a dimenticare, cancella la stanchezza, le paure e le delusioni. Sarà per questo che nel tempo il vino ha assunto un’importanza notevole costituendo il principe delle bevande. Ci vuole arte, tra coltura, raccolta e vendemmia. Dalle nostre parti si produce un buon vino da tavola, segno di grande tradizione. Sarebbe bello non perdere questa tradizione trasferendola ai giovani attraverso l’arte dei padri e dei nonni, come lo era anche per i nostri antenati. Il miglior passaggio tra una generazione e l’altra avviene per trasferimento da padre a figlio con informazioni sulle colture, sui metodi, sui benefici della coltivazione. Ho chiesto a mio padre di insegnarmi a potare la vite per vedere quel terreno sempre com’ è oggi. Una passione trasmessami da lui giorno per giorno, con la sua completa dedizione. “Le piante non parlano ma dicono attraverso i colori e la loro crescita”, dice spesso mio padre e quando lo vedo così devoto al suo campo mi viene il mente Virgilio nelle Bucoliche quando, attraverso i personaggi di Titiro e Melibeo, lamentava la perdita del suo podere. Lì Virgilio perdeva il podere per la spartizione delle terre ai veterani, qui si perderebbe per mancanza di interesse e passione per la coltivazione e magari, una volta abbandonati alle erbacce questi campi sarebbero solo suoli su cui edificare. Per questo voglio imparare, per non perdere tutto quello che mio padre ha creato con il suo lavoro!

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