giovedì 23 novembre 2017

“O mantesino”

di Filomena Baratto

Vico Equense - La mia amica Beth, architetto francese, curatrice di eventi, mi ha chiesto una poesia che abbia come tema il grembiule. L’ ha chiesta a tutti i suoi amici scrittori e poeti per stamparle sui grembiuli di Stefania, un’imprenditrice che ne produce intere collezioni, fatti in tessuto pregiato con stampe incantevoli e i colori dei maestri di Firenze. Nell’accingermi a scrivere, mi sono ricordata di mia nonna fasciata nel suo bel “mantesino” termine napoletano che deriva dal latino “ante sinum”, che para il seno, detto anche “parannanza”, che copre davanti. Il grembiule in cucina ci protegge dalle macchie ma non è solo un riparo, a volte diventa un alleato nei lavori di casa. Quando ricordo mia nonna, impossibile non vederla col suo largo “lenzuolo”. Ne aveva uno per ogni occasione, alcuni anche per le cerimonie, per non lasciare che l’abito elegante perdesse il suo valore sotto quell’ampia fasciatura scura. Sono cresciuta nel suo grembo, “nzino” come diceva lei, aspirando i suoi odori, ricordandomeli quando non ero in braccio a lei, e per me un posto privilegiato. Mi accoglieva in quella sacca che a volte mi copriva, altre volte mi asciugava, altre ancora mi nascondeva per evitare grane con gli altri. Spesso era il posto anche per giocarci a nascondino, e dietro il grembiule vincevo sempre. Nonna non se ne privava mai. Quando Beth me ne ha parlato, subito mi sono apparsi i “mantesini” di nonna. Erano spaziosi, con piccole fantasie essenziali, morbidi, alcuni con stampe provenzali che diventavano un appiglio come la coperta di Linus. Quando non volevo staccarmi da lei, mi aggrappavo al grembiule. Ma a pensarci bene, ricordo anche quello che si inventava e come lo trasformava, in una sorta di linguaggio tutto suo. Ma ho scoperto che il mantesino ha un suo linguaggio nella storia delle nostre nonne: doveva proteggere l’intimità della donna al cospetto degli altri.
 
Non averlo era insolenza. Finanche da morte le donne dovevano avere il grembiule per presentarsi a Dio quanto il più possibile coperte. Nessuna donna ne era esente. Le ragazze ci giocavano e, a seconda di come lo allacciavano, davano segnali di gradire o meno il corteggiamento. Tirarlo sul lato destro era un ricambiare l’interesse per l’innamorato, mentre sul lato sinistro era una forma di impudicizia. Formare invece le corna alle estremità, era un modo scaramantico per scacciare la negatività. Mia nonna aveva un rapporto stretto col grembiule. Era la sua bacchetta magica quando cacciava fuori dalle tasche i suoi pezzi di pane, di formaggio, e ci infilava di tutto, dai prodotti della terra alla biancheria sporca, dalla biada all’erba, comprese le uova avvolte nella carta. I suoi grembiuli colmi di frutti di stagione, erano scene caravaggesche che non si possono dimenticare. Vederla col grembiule colmo di ogni bontà era come la generosità in persona. In estate mi soffiava con i lembi del suo fresco”lenzuolo”. Ma la sensazione di chi lo indossa è sentirsi pronti all’azione, a svolgere le mansioni di casa magari ai fornelli, a pulire. E per quanto oggi ce ne siano di belli e anche eleganti, preferisco quelli di mia nonna: ampi, avvolgenti, che mi danno il senso di casa, di calore, di bontà. Tutte cose che ho riscoperto con i grembiuli dell’amica Stefania, che hanno disegni e trame di gran gusto. Mai, prima di questi, i grembiuli avevano suscitato in me il ritorno a quelli di una volta, ampi, che fasciano, di materiali naturali e stampe come quelli di nonna. L’arte in questo caso, riprende il passato riportando in auge non solo un tessuto e un indumento che aveva perso il suo valore, ma anche ricordi felici.

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